Disegnare (fotografare) un mondo migliore: si può
Vi accompagnamo in un percorso per capire come affrontare le evoluzioni dell’immagine riuscendo ad interpretarle nel modo più concretamente utile: per tutti, anche per il nostro futuro professionale
La produzione di immagini sempre più si affida a strumenti hardware e software che facilitano il processo, lo velocizzano, lo interpretano, lo anticipano. Si tratta di tecnologie che in certi casi sono trasparenti, nel senso di “non visibili”, a volte sono invece molto protagoniste e impongono la loro attenzione con tanto di fari puntati.
Queste tecnologie sono sempre più evidenti già in fase di creazione: se parliamo di fotografia siamo passati dagli automatismi di esposizione, poi della messa a fuoco automatica, successivamente l’evoluzione ci ha portato ai calcoli computazionali che si sono spinti oltre ogni immaginazione all’interno degli smartphone, ma anche nelle fotocamere “vere”, con processi che addirittura decidono di scattare al nostro posto, quando una serie di variabili si manifestano davanti all’obiettivo. È il caso, per fare un esempio pratico, della funzione Auto Capture di Nikon che permette di far scattare alcune fotocamere della Casa senza che il fotografo sia presente, e senza sistemi telecomandati o accessori. Semplicemente, se succede quello che si è detto possa accadere, la fotocamera scatterà immagini o registrerà video, creando forse (ma non abbiamo bisogno di dirlo a voce alta) un conflitto sulla questione del diritto d’autore che - per convenzione - si può applicare solo quando un essere umano produce l’immagine, e non viene “prodotta” da una macchina (avete presente la discussione sulla questione della generazione di immagini AI?). E siamo probabilmente solo all’inizio, non a caso quando si parla o si sente parlare con i responsabili delle aziende del settore fotografico di fascia alta, si sente dire che la missione è quella di inserire sempre più tecnologia per agevolare i creatori di immagini.
Ma se la fase di ripresa è già stata ampiamente invasa (positivamente) da questa evoluzione, ancor di più possiamo parlare di tutte le fasi della post produzione. Una volta che abbiamo un contenuto di base, possiamo manipolarlo, migliorarlo, modificarlo, stravolgerlo, in tempi brevissimi. Se per esempio facciamo una ripresa video e il soggetto (magari noi stessi) non guardava in camera, possiamo usare una serie di tool (ce ne sono diversi) che semplicemente correggono l’errore e ci permettono di ottenere un risultato corretto senza dover rifare la ripresa, oppure possiamo richiedere varie versioni di color correction dando delle indicazioni di mood e di emozioni che vogliamo trasmettere, e il sistema può comprenderle, elaborarle e proporcele. Per non parlare di quello che è la post produzione di immagini, intesi come “fotomontaggi”: siamo andati ben oltre quelle che sono (erano) le entusiasmanti funzionalità di scontorno automatico di Photoshop, ma parliamo di una fusione di immagini che vanno ad interpretare i desideri di chi sta creando le immagini, e per “interpretazioni” intendiamo il voler integrare un fondo modificando la resa del soggetto principale per contestualizzare i due elementi nel modo migliore. Vi mostriamo alcuni esempi molto semplici che abbiamo realizzato qualche giorno fa per un corso che abbiamo fatto, dove abbiamo preso un’immagine di una Jeep e l’abbiamo “fusa” con molti sfondi, tutto questo senza scontornare, senza un lavoro di correzione, semplicemente dando un prompt e lasciando fare tutto alla macchina, tutto questo con pochi secondi di attesa.
Qui sopra, le due immagini originali (Jeep: creata con Ai da Aiway Team, il panorama Unsplash)
Qui sotto elaborazioni create in tempo reale e che non sono semplici “fotomontaggi”, ma interpretazione di un ambiente, di un mood, di una situazione. In certi casi potrebbe essere considerato “meno”, rispetto ad un approccio più tecnico, in altri potrebbe essere invece molto di più: un concetto, un approccio, non un semplice “inserimento”. (realizzazione per un corso da: Aiway Magazine Lab).
La questione primaria è capire quale sarà il valore della professionalità che ci distinguerà nel prossimo futuro: un tema caldo, caldissimo. Macchine che sempre più si integreranno nel nostro flusso di lavoro, e che imporranno di innalzare sempre più il livello qualitativo. E bisogna segnalare che in giro, specialmente sul tema intelligenza artificiale, ci sono tante bugie, quando si parla di futuro.
Le bugie sono spesso frutto di mancata conoscenza, in altri casi sono causate dalla paura, in altri ancora sono bugie dette coscientemente, per manipolare la verità, per causare un danno, per ribaltare una situazione, per trarne un vantaggio, a svantaggio delle persone che sono meno esperte e che conoscono meno questi argomenti. Sapete qual è la maggiore di queste bugie (o cattive interpretazioni)? Che l’intelligenza artificiale andrà ad intaccare e sostituire i processi più automatizzati, perché sono quelli che comprende meglio e che può affrontare facilmente, a costo ridotto e con tempi inferiori.
La verità è che i flussi di produzione automatizzabili sono anche quelli che di fatto costano già molto poco, e considerando che l’intelligenza artificiale è tutt’altro che economica come processo, la valutazione sarà che probabilmente questi processi costano meno se fatti da “esseri umani”, da manodopera non specializzata. Dove, allora, l’AI verrà usata sempre di più? Nelle attività che richiedono specializzazione, competenze, esperienza: quei settori che ci sembravano i più “sicuri”, dove potevamo trovare un “posto garantito”. L’AI punta a sostituire la fascia alta del lavoro, dove diventa competitiva e dirompente. E allora verso cosa dobbiamo orientare la nostra attenzione, la nostra crescita, la nostra evoluzione? Verso i mestieri “di fascia bassa”, di “produzione automatizzabile”? No, neanche questa è la soluzione: sarebbe una guerra al ribasso, che può solo portare a risultati devastanti.
La strada per guadagnarsi (manternere) uno spazio ed un ruolo professionale, sappiamo che ce lo direte, è quella della creatività. Gli esseri umani sono creativi, le macchine no. Ne siamo sicuri? Quanti sono i riferimenti della creatività che abbiamo nella nostra mente, e parliamo di una mente allenata, abituata ad essere creativa tutti i giorni, a svolgere un “mestiere creativo”? Migliaia, centinaia di migliaia, milioni?
La mente umana non è allenata per poter navigare in così tante opzioni, se non ad istinto (che è, in quanto tale, poco affidabile: si può essere geni in qualche situazione, ma a volte finiremo con l’essere irrimediabilmente ingenui, romantici, idioti… se ci affideremo solo all’istinto). La mente umana non è in grado di codificare un numero troppo elevato di variabili, di opzioni: di solito, è “buona la prima”, o semmai la “seconda” o in casi davvero terribili “la terza”. Il più evoluto sistema di generazione di immagini AI (Midjourney) ha codificato gli stili che “conosce”, che è capace di “gestire”, di applicare con metodo. Sapete quanti sono? Non c’è un numero esatto, ma a spanne sono 4 miliardi. E sono tutti codificati, con un numero che li identifica e consente non solo di applicarli a piacimento, ma - moltiplicando all’infinito questo numero di varianti - unendone due, o tre o 10 insieme. La macchina non è creativa perché è capace di codificare gli stili estetici? No, è MOLTO creativa, anche se non si attiva da sola, ha bisogno di un input di un essere umano che gli dica “cosa deve fare”.
E allora, la risposta, quella che garantirà un futuro (anche di successo) è quella di lavorare insieme, macchina e umani, per innalzare - mettendo il meglio di ognuno di questi due lati - il livello della creatività e della produzione, nel trasformare intenzione e intuizione in produzione, in risultati, in prodotti. Ogni persona, quando interagisce attivamente con l’intelligenza artificiale, lascia (può lasciare) un’impronta unica nel lavoro che crea insieme. Un mondo che conserva l’unicità di ogni individuo è un mondo che ha un vero significato per l’umanità.
E’ un processo che coinvolge ogni istante della creazione: dall’ideazione, alla ripresa, alla fusione di vari ingredienti, alla correzione di eventuali imperfezioni. E, per finire, la cosa incredibile è che grazie a questi processi ottimizzati, anche integrando quelle che definiamo erroneamente imperfezioni, includendo le infinite varianti, anche (e specialmente) quelle non “stereotipate” possono portarci a delle immagini “perfette”, perché daranno spazio ad una universalità di opzioni, di interpretazioni, di sfumature, che riusciranno a creare una rappresentazione migliore del mondo che intendiamo raccontare.
Buona settimana, ci ritroviamo domenica prossima, su questi schermi ;-)