Fotografia: realtà, fatti alternativi, immaginazione?
Si parla sempre più dei pericoli delle fake news. La paura è che sia sempre più difficile distinguere realtà da finzione, ma se il problema è che sono gli umani che sono i primi a volere la finzione?
In questo periodo si è parlato molto di fotografia “modificata” e “manipolata”. Ci ha pensato Kate Middleton, principessa del Galles, ad infuocare la scena con la sua foto di famiglia “photoshoppata”. Alla fine di gennaio è uscita l’immagine che è stata distribuita dallo staff ufficiale di Donald Trump che ritraeva l’ex (e potenzialmente futuro) presidente USA in preghiera, ma le mani giunte erano poco credibili, avevano 6 dita.
In questi giorni si sta parlando molto dell’AI Act, la prima legge mondiale (scritta in Europa) dedicata all’intelligenza artificiale, stiamo realizzato uno articolo speciale in uscita presto su Aiway 3, ma quello che viene fuori è che c’è grande preoccupazione sulla propagazione di fake news, di mala informazione. Ma se sono addirittura le “fonti ufficiali” che diffondono questo tipo di falsità, come dovremmo interpretare il fenomeno?
La falsità è diventata la nuova verità. C’è una crescente difficoltà nell’accettare che la verità dovrebbe essere oggettiva? Anni fa, Kellyanne Conway, collaboratrice di Donald Trump, per difendere una situazione indifendibile aveva parlato di «alternative facts», di “fatti alternativi”. Come per dire: la verità sembra diversa? Ma quello di cui parliamo noi, sono semplicemente dei “fatti alternativi”.
Sui social, le persone amano mostrarsi per quello che percepiscono e vogliono essere, non per quello che “sono”, e quindi sempre più alimentano un’alternativa che diventa poi sempre più LA versione reale. Il tutto, con l’aiuto della sempre più evidente velocizzazione della tecnologia, che modifica la realtà direttamente anche in fase di ripresa, attraverso la fotografia computazionale che “interpreta” la realtà a proprio piacimento (o a piacimento di chi scatta).
Non stupisce quindi che, dall’altra parte, ci sia una crescente richiesta, specialmente da parte delle nuove generazioni, di strumenti che non solo non sono manipolabili, ma che catturano una realtà meno perfetta, anzi: imperfetta per natura. Per esempio, la moda sempre più forte per le fotocamere usa e getta (ne parla addirittura il Washington Post, in questo articolo), oppure la passione per le fotocamere analogiche (le “macchinette”), anche questo raccontato in un articolo di un media di pregio, FastCompany.
La legislazione dice che qualsiasi forma di “fake news” generata con l’AI dovrà essere dichiarata in modo ufficiale come “falsa informazione”: ci domandiamo quanta ingenuità ci sia in questa asserzione, ricorda un po’ il documento che si deve complilare per entrare negli USA, dove dobbiamo certificare e dichiarare che non siamo dei “terroristi”. Chi vuole raccontare qualcosa di falso, sarà anche chi lo dichiarerà? Grazie per averci fatto sorridere…
Non saranno le (sole) leggi che potranno cambiare il fenomeno del vedere e del credere una realtà alternativa, perché si tratta di un problema legato alla psicologia umana, e il cervello sempre più è portato e addirittura allenato - grazie alle tecnologie come si diceva, ma anche all’esigenza di essere sempre più presenti in forma ufficiale all’esterno, anche se in versione “virtuale” e filtrata dal digitale (pixel modificabile e sempre più pixel che possono essere creati a richiesta) - a sdoganare storie che sono immaginate e non a testimoniare formalmente quello che semplicemente “è”.
Chi vuole avere ancora un ruolo attivo e concreto nella creazione di immagini, dovrebbe decidere se essere l’alchimista che è capace di rendere sempre più credibile e “reale” una realtà inventata, immaginata, desiderata, oppure se essere testimone, certificatore e punto di riferimento di una realtà più “oggettiva”. Questo potrebbe passare (ne abbiamo parlato tante volte, ma approfondiremo sempre di più) da strumenti in grado di garantire la documentazione della realtà, dai firmware delle fotocamere più moderne che interagiscono e “firmano” i metadati originali su blockchain o su sistemi che tracciano qualsiasi modifica rispetto all’originale, fino alla consegna di file RAW originali documentabili, al ritorno alla pellicola per poter dimostrare - negativi alla mano - l’originalità della ripresa. Oppure, e questo pensiamo sia una strada davvero molto interessante, quella di creare eventi live, senza filtri, dove quello che si riprende e si documenta/racconta arriva direttamente ai destinatari, e che quindi chiaramente non è stato manipolato.
Ci sono molte pagine da scrivere, con la luce, con i pixel, con l’immaginazione, con il rigore... sarà una scelta che ciascuno dovrà trovare, ma di sicuro c’è bisogno di scrittori e scrittrici di un capitolo importante, per il nostro futuro: di persone, prima che di professionisti.