Gli schermi della nuova realtà li dobbiamo conoscere meglio
Spesso abbiamo tante sicurezze, dal punto di vista tecnico, e veniamo influenzati da queste per comprendere le innovazioni che vengono presentate davanti a noi. Ma il mondo cambia velocemente...
Siamo stati educati, culturalmente e tecnicamente, al fatto che stampare richiede più dati e maggiore nitidezza rispetto agli schermi. Eppure, sono quasi 15 anni che la rivoluzione degli schermi ci porta a vedere la questione da un altro punto di vista: dal 2010, anno di presentazione al mercato di quelli che sono stati chiamati “schermi Retina” (da Apple, ma di fatto non è una tecnologia sviluppata da Apple, ed è presente con nomi diversi anche in prodotti di tantissime altre aziende) gli schermi hanno, nominalmente, una risoluzione e una capacità di visualizzare dettagli superiore alla carta.
In questi quasi 15 anni, però, la questione si è evoluta, siamo passati dal video full HD al 4k, e poi all’8K, ma anche questi livelli si stanno evolvendo ulteriormente e spesso si discute dell’importanza di queste evoluzioni: chi ha, alla fine, degli schermi 8k in casa? L’errore, spesso, è proprio in questa valutazione semplicistica: la risoluzione è un concetto che unisce tanti fattori:
La quantità di punti di informazione (pixel, sugli schermi) presenti in una determinata dimensione fisica, di solito 1 pollice, che corrisponde a 2,54 centimetri.
La distanza di visione: la percezione della nitidezza è influenzata dalla capacità dell’occhio di vedere i singoli punti dell’immagine, se non riesce a distinguerli perché troppo piccoli, l’immagine viene percepita a “tono continuo”.
Il lavoro di sviluppo degli schermi si basa maggiormente sul parametro della densità di pixel, espressa in ppi, perché la qualità e nitidezza di un immagine è come abbiamo detto fondamentale in relazione alla distanza di visione: uno schermo 4K possiamo considerarlo molto nitido se usato su un pannello da 75 pollici di una TV che vediamo alla distanza di un paio di metri o anche più, ma se lo vediamo a distanza limitata, 40 50, 60 centimetri, ci accorgiamo che quella nitidezza è molto scarsa. Per farvi un esempio, un televisore 4K da 75 pollici ha 59 PPI e quello Full HD, sempre della stessa dimensione, ne ha solo 29. Se passiamo invece ad un televisore 8k, sempre a parità di dimensione, il valore della densità di pixel sale a 117 che è comunque molto, molto meno di quello per esempio di un nostro smartphone, che potrebbe avere una densità di oltre 500 ppi. Il motivo è ovvio: lo schermo di uno smartphone lo fruiamo a breve distanza, ci serve per leggere testi anche lunghi, deve essere più ricco di dettagli. Chiaramente, uno schermo da “soli” 30 pollici UHDTV 8K, visto che verrà fruito a distanza più ridotta e ovviamente perché richiede di posizionare 7680 pixel su una larghezza inferiore a quella indicata prima di 75 pollici, si presenta con una densità maggiore, ovvero 300 ppi.
Tutto questo è forse abbastanza ovvio, per chi lavora in questo settore, ma ci sono altri dettagli che forse non sono così conosciuti: per esempio che la tecnologia ci sta portando ad avere schermi dalla sempre superiore densità di pixel e il motivo è che li useremo a distanze sempre più brevi: parliamo di schermi sui visori della realtà aumentata, virtuale e mista (ormai la sigla più usata è XR, ovvero eXtended Reality), ma si stanno preparando occhiali smart di nuova generazione, e poi addirittura lenti a contatto che potranno trasformarci in veri e propri androidi.
Il parametro di confronto è dato dagli schermi del VisionPro di Apple che sono caratterizzati da una densità di pixel impressionante, ovvero 3.386 PPI, che è quindi oltre 7 volte quella dell’iPhone 15 Pro Max, ma oltre a questo c’è un ulteriore dato legato alla risoluzione degli schermi che è ben più esoterico, e che porta la sigla PPD (Pixels Per Degree).
I PPD (Pixels Per Degree) sono importanti negli schermi per la realtà virtuale (VR) e la realtà aumentata (AR) perché forniscono una misura della densità di pixel in un campo visivo umano, che è importante per garantire una buona qualità dell'immagine e una buona esperienza di visualizzazione. Nel campo della realtà virtuale e aumentata, la densità di pixel è un fattore importante per garantire che l'immagine visualizzata sia nitida e chiara, senza effetti di sfocatura o di aliasing.
Il rapporto tra PPD e PPI è che il PPD è una misura della densità di pixel in un angolo di visione, mentre PPI è una misura della densità di pixel in un'unità lineare. PPD può essere convertito in PPI se si conosce la distanza di visualizzazione. Se volete, possiamo indicarvi come calcolare questa conversione, ma siamo sicuri che già stiamo mettendo sotto stress la vostra pazienza e stiamo rischiando il vostro mal di testa, quindi eviteremo scendere nel dettaglio così matematico (se volete, scriveteci LOL), ma vale la pena sapere, nella pratica, che secondo iFixit, una società che si occupa di riparazioni di device digitali, il Vision Pro dovrebbe disporre di una media di 34 PPD, un valore molto alto, considerando che il visore di PlayStation VR2 ha in media 19 PPD e il Meta Quest 3 25 PPD.
Dove ci portano tutti questi calcoli?
Ci dispiace per la “lezione” sulla risoluzione ma questa serve a posizionarci tutti mentalmente sulle questioni legate ai sistemi di ripresa del futuro (o, per meglio dire, del prossimo presente). Servono sempre più informazioni, in termini di pixel, per riprodurre immagini sempre più nitide e vicine alla realtà, che ci porteranno a nuovi approcci e relazioni tra virtuale e reale, tra come vediamo la realtà e come questa si unirà alle immagini generate dall’intelligenza artificiale o dal virtuale. In questo contesto, ci sono moltissimi argomenti da comprendere e da analizzare, alcuni da guardare con il cannocchiale, perché sono legati al futuro, alcuni sono da considerare in funzione dello spessore del nostro portafoglio (nel senso che costano o costeranno tantissimo), alcuni invece sono già disponibili per tutti, e serve solo comprenderne i campi di utilizzo e di sviluppo. Vi segnaliamo un paio di cose:
1) Blackmagic ha presentato al NAB24 oltre alle già disponibili Blackmagic Pyxis6k full frame da 6K come dice il suo nome e la Blackmagic Ursa Cine 12K che spinge a 12k la risoluzione (12.288 x 6480 pixel), ha anche annunciato la Ursa Cine 17K camera che offrirà un sensore da 17.520 x 8.040 pixel dalla dimensione fisica di 50,8 x 23,3 millimetri che la farà entrare nell’area “inaccessibile” della ARRI ALEXA 65, macchine per il cinema che nemmeno si possono “comprare” ma che si noleggiano alla cifra minima di 10 mila dollari al giorno (qui, se volete approfittarne). Dopo quanto detto (vedete che era necessario), la qualità di pixel che può raggiungere permette di immaginare utilizzi che vanno anche oltre al cinema delle sale dagli schermi immensi e dalla qualità totale. La dimensione dei sensori, già tanto discussa in ambito fotografia, possiamo prevedere che si amplierà sempre di più anche nel video, per motivi ovvi: la crescita del numero di pixel sull’immagine in movimento, diventando sempre più una chiave importante per il futuro dell’interazione digitale e virtuale, non riuscirà a far “contenere” così tanti pixel in un’area piccola. Qui sotto delle immagini che mostrano il confronto tra un sensore FullFrame (che, come sappiamo è già “enorme”) e quello della nuova Ursa 17K, E poi un grafico che mostra le dimensioni a confronto tra i vari sistemi di alta fascia di videocamere (e anche fotocamere, come Hasselblad):
2) L’intelligenza artificiale, abbinata all’aumento della risoluzione, permette di ottenere già oggi interpolazioni che hanno del magico. Abbiamo in questo ultimo anno lavorato su moltissimi test che abbiamo pubblicato e usato in moltissime occasioni nei nostri laboratori di formazione sull’AI legati ad Aiway, vi proponiamo qui sotto un video di un ingrandimento di una immagine, generata da noi con l’intelligenza artificiale, passando dalla dimensione originale di 1024x1024 pixel ai 10 mila pixel di lato. Guardate voi stessi, e fate le vostre considerazioni. Se volete saperne di più, vi invitiamo a far parte del pianeta Aiway, dove troverete già i tre numeri pubblicati (l’ultimo, è uscito solo pochi giorni fa ed è davvero eccezionale!), e verrete aggiornati con le newsletter settimanali esclusive e poi, chi lo desidera, potrà iscriversi ai nostri workshop online dell’Aiway LAB.