I giovani si nascondono nelle foto di gruppo di famiglia. Forse dobbiamo capire che hanno ragione
Un trend tra i giovanissimi è quello di mettere la mano davanti alla faccia quando sono obbligati a mettersi in posa nelle foto di gruppo di famiglia. È un sintomo sul quale riflettere, molto.
La fotografia è diventata sempre di più uno strumento importante, nella società moderna. Chi ci vive già da anni, per professione o passione, pensa spesso che ci sia stato un netto abbassamento del livello qualitativo, e questo sinceramente non corrisponde nemmeno lontanamente alla realtà: la qualità dell’immagine, mediamente, si è anzi elevata (e tantissimo in questi ultimi 10 anni grazie alle innovazioni qualitative offerte dagli smartphone). Altri, sempre per difendere il proprio territorio di lavoro, ma anche il giusto orgoglio in relazione alla propria sensibilità sul tema, mettono in evidenza la progressiva perdita dei valori della fotografia, che viene sempre più declinata in una produzione massiva e incontrollata e che di fatto non riesce più ad essere identificata come bene prezioso.
Anche in questo caso, sebbene siano evidenti i processi mentali che portano a questo pensiero, va segnalato che non corrispondono necessariamente alla verità, perché per esempio - specialmente tra i più giovani - il valore di ogni singola immagine risulta ancora profondamente importante, e addirittura c’è una forte preoccupazione nel bloccare la diffusione di qualsiasi immagine che non sia adeguata al proprio standard diventa uno stress che causa spesso crisi profonde, anche psicologiche.
Non è accettabile, per un/una teenager vedere “girare in rete” delle immagini che inquadrino anche solo “il loro profilo sbagliato” (dieci anni fa nemmeno si sapeva cosa volesse dire tutto questo se non si era “degli esperti”), ma ancora di più hanno il terrore di qualsiasi immagine che possa uscire dal loro controllo, possa finire sui social e poi... essere scoperta ed usata da amici e conoscenti per bullizzarli.
Un fenomeno individuato dal tabloid inglese “The Sun” (ok, non certo la più autorevole testata al mondo) segnala il trend tra i giovanissimi di un comportamento chiamato “nose cover” che consiste nel nascondere parzialmente la faccia (quindi, di fatto, il naso) nelle fotografie in cui vengono ripresi i gruppi di famiglia. Una volta queste foto, che magari hanno imbarazzato storicamente un po’ tutti (noi compresi), finivano però poi nel dimenticatoio degli album di famiglia, che al massimo venivano tirati fuori nelle feste domestiche e non certo messe a disposizione del largo pubblico, non creavano grandi crisi di panico: ma ora sì.
Considerati gli effetti devastanti dei trend sui social (dove tutti iniziano a fare esattamente la stessa cosa, tutti insieme), il rischio è che potrebbe annullarsi, scomparire tutto un periodo di narrazione visuale di vita di molti adolescenti, che negli anni futuri troveranno questa loro “non partecipazione” nei momenti importanti di vita famigliare (per quanto apparentemente banali quando si vivono, specialmente a quell’età) e provocherà tristezza, perdita di qualcosa di valore. Un gesto come quello di “nascondersi” dimostra infatti un rifiuto di appartenenza, che fa male oggi ai “grandi” che vedono le fotografie e magari genera tensione in famiglia, e che farà male a giovani quando... diventeranno grandi.
In tutto questo, ancora e sempre, si tende a puntare il dito e si fanno accuse sulle fragilità dei giovani. Ma forse, a ben vedere, il vero errore è primariamente quello dei genitori e dei parenti, che dovrebbero avere maggiore esperienza di vita e maggiore sensibilità, e pensare che forse le foto di famiglia, specialmente se creano questo tipo di imbarazzo (che è vero, va combattuto, ma con serenità e non certo creando contrasti), sono fatte per la famiglia, non per quel fenomeno idiota di condividere sui social. Esistono le sfere di intimità, che possono trovare tra l’altro nella fotografia un importante alleato, un vero valore, e invece vengono volgarizzate, pornografizzate, messe in mostra come se fossero merce... a quale scopo?
I nostri figli, le nuove generazioni, dovrebbero ritrovare dei valori, ma se non si costruiscono, non si rafforzano, non si difendono all’interno degli spazi protetti, come potremo pensare che possa nascere una forza sufficiente nei giovani così fragili su queste questioni, se noi stessi accettiamo anche in questi ambienti apparentemente protetti, di lasciarli in mare aperto, alla mercé delle onde?
Siamo in un’era in cui serve coscienza: dovrebbe esserci coscienza, nelle famiglie, e dovrebbe esserci, secondo noi, anche tra chi la fotografia la propone per professione, creando e stimolando la sensibilità per il valore vero di questa magia, magari consigliando mezzi per poter proteggere e mantenere le immagini in una sfera davvero intima.
Potrebbero nascere dei prodotti da proporre, per i fotografi; dalle stampe, ovviamente, da custodire con gelosia, a dei micro libretti per delle narrazioni di valore, che sarà bello sfogliare nel futuro; degli archivi digitali che però sono racchiusi dietro delle porte protette, che magari si potranno aprire solo in futuro. Serve attivare le menti delle persone, facendo percepire il vero valore di quello che è la fotografia nella sua era moderna, non cercando di portare tutti verso “quel passato tanto bello”; cercando di dare risposte costruttive e non critiche verso i giovani (i giovani, da sempre, odiano le critiche, ora sempre di più, è non è quella la chiave per far loro cambiare idea o comprendere gli errori).
Proviamo, tutti insieme (professionisti della fotografia, aziende del settore della fotografia - se ci sono ancora - mezzi di informazione, scuole), a dire che si può ripartire dal valore della fotografia per capire meglio come essere delle persone che danno valore alle cose, ai momenti importanti, alla tutela della nostra storia e del nostro futuro. Forse non capiamo, da grandi (boomer...) quello che i “ragazzini” hanno capito bene e che non è solo una loro fragilità da combattere o contrastare, forse è un loro segnale di pericolo che non riescono a spiegarci bene, ma che comprendono, ad istinto. Anche perché c’è il pericolo che l’intelligenza artificiale generativa, usata in modo negativo, possa contribuire, se non controllata, se non trattata in modo sano (come proviamo, nel nostro piccolo, a raccontare sulla nostra rivista), ad aumentare questo pericolo. L’AI si alimenta o si può alimentare delle immagini rese pubbliche senza alcun motivo, senza alcun valore, senza alcun rispetto, senza coscienza. Perché lo si continua a fare? Per ignoranza, per stupidità, per mancanza di coscienza.
Qualche mese fa, Deutsche Telekom ha fatto uno spot per mettere in allerta su questi pericoli, uno video davvero forte dal titolo “Senza Consenso”. Guardatelo, è importante, e visto che è importante proprio il messaggio abbiamo linkato la versione che è stata tradotta e sottotitolata (grazie agli autori che ci hanno pensato).
Da professionisti della fotografia, facciamo in modo di dare di nuovo alla fotografia un ruolo importante, di valore, di coscienza. L’aveva, rischia di non averlo più, ma se noi per primi non proviamo a portarla sulla strada giusta, allora non possiamo essere che colpevoli di questo.