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I robot hanno imparato a fare le fotografie? Approfittatene, e vendete servizi "unlimited"
"Le macchine ci toglieranno il lavoro" è una teoria tanto discussa quanto improbabile, anzi; usiamo noi i robot per tutto quello che è ripetitivo, e invece proponiamo servizi ad alto valore aggiunto.
Photo by Drew Dizzy Graham on Unsplash
Qualche settimana fa, l’azienda svedese Profoto, specializzata in sistemi di illuminazione flash per la fotografia di studio, ha annunciato di avere acquisito la società olandese StyleShoots specializzata nella produzione e distribuzione di sistemi robotizzati per automatizzare la ripresa fotografica. Questi sistemi esistono da diversi anni (ricordiamo di averne visti in una fiera internazionale oltre 15 anni fa e di esserne rimasti impressionati, già all’epoca), e si rivolgono al fornire soluzioni per quelle esigenze, specialmente nel campo dell’e-commerce, che richiedono un altissimo numero di scatti e di conseguenza impongono un costo/scatto davvero molto basso.
Quelli proposti da StyleShoots sono sistemi che sono stati amati dai fotografi professionisti, che da subito hanno visto il terribile pericolo di essere sostituiti da quelli che, di fatto, sono dei robot che hanno lo stesso approccio delle catene di produzione nelle fabbriche, dove ovviamente la robotizzazione è un fatto comune ormai da tanto tempo.
La motivazione di questo scontro è legata a due aspetti:
il primo puramente imprenditoriale: sono attrezzature costose, spesso gli investimenti di una sola e semplice fotocamera o di un obiettivo è già, per un fotografo, una questione complessa, figuriamoci un sistema robotizzato che ha un costo decine di volte superiori. Ogni realtà aziendale - anche un piccolo studio fotografico è un’azienda, prima ancora che un artigiano - deve fare i conti con la sua dimensione, la sua capacità di creare utili, e un contesto piccolo non si può permettere di assorbire un costo che non è “impossibile”, semplicemente appartiene a una scala diversa;
il secondo aspetto è quello emozionale, culturale, e anche un po’ di facciata: noi creativi non usiamo i robot per fare tutte le foto uguali, ci piace mettere del nostro, altrimenti che creativi siamo? Non sempre è così, ma la difficoltà di assorbire un investimento rilevante porta anche a enfatizzare il “non mi interessa, non fa per me”, che comunque è certamente un’opzione, spesso corretta e intelligente, purché poi non si cada nel fare lo stesso lavoro che farebbero questi sistemi “industriali” guadagnando troppo poco per il tempo necessario alla produzione della stessa qualità.
Alla critica di molti fotografi, ovvero che si sta “uccidendo” il mercato della produzione fotografica, risponde proprio il CEO di Profoto, Anders Hedebark, in un’intervista, mettendo in evidenza che questi sistemi non sostituiscono i creativi, ma rispondono appunto, come abbiamo detto anche noi, alle esigenze di produzione di aziende e strutture che devono produrre alti numeri di immagini, come un’industria. Insomma, gli orologi digitali, stampati in plastica con una catena di montaggio tutta automatizzata come gli Swatch non hanno sostituito gli orologi di alta qualità, costruiti a mano e realizzati con movimenti meccanici come un Rolex o un Patek Philippe (anche se poi succedono anche eventi come questo che uniscono queste due filosofie), ma il senso è che non si può scegliere la strada di fare qualcosa di “automatizzabile” e farlo al tempo stesso pagare come un prodotto di raffinato ed esclusivo artigianato, e il concetto non è nemmeno quello del costo puro del lavoro.
Il vero problema è che le aziende hanno bisogno di immagini con cadenza quotidiana, è cambiato il modo di comunicare: non più il catalogo annuale (che poi si ristampava aggiungendo spesso solo una decina di immagini dei prodotti nuovi), ma un costante flusso di immagini, per i social, per tutte le campagne online, per il commercio elettronico che, come detto, ha sempre più bisogno di decine di immagini per ogni singolo prodotto (e a che video). E questo è solo l’inizio perché ormai le fotografie statiche, i video, le animazioni non bastano più, si lavora con immagini 3d che possono permetterci di visualizzare il prodotto da tutti i lati, poi addirittura si usa la realtà aumentata, e siamo vicini anche alle rappresentazioni dei prodotti nel metaverso. Per non dire delle collezioni di NFT che richiedono migliaia di versioni diverse per ogni soggetto (tipo Bored Apes).
Le aziende non hanno più bisogno di “servizi fotografici” ma di produzione fotografica costante, e sempre più sentiranno la necessità di una soluzione produttiva, sempre più massiva, le strategie di comunicazione saranno quanto più efficaci quanto più potranno trovare metodi per produrre più immagini.
La scelta fatta da molte aziende (anche in Italia, come questa testimonianza) è quella di integrare la produzione di immagini internamente, moltissime l’hanno già fatto, anche da parecchi anni, altre lo faranno, siamo solo agli albori di questa evoluzione, ne siamo sicuri, e ne sono sicuramente anche sicuri i signori di Profoto che si trovano a fare i conti con un mercato, quello della luce di studio per fotografi professionisti, che è in fortissima contrazione e che crediamo non possa essere compensato dalle pur simpatiche ed efficienti proposte per l’illuminazione per il settore degli smartphone.
Siamo di fronte ad una chiusura del mestiere del fotografo, tutte le discussioni sul fatto che “i robot ci toglieranno il lavoro nel futuro” è diventato un presente? No, non sono i robot che ci tolgono il lavoro, se non nell’automatizzare processi che permetterebbero di lavorare e di concentrarci in campi in cui la mente creativa non solo è fondamentale, ma addirittura risulta - anche quando pagata tanto - più economica di soluzioni di intelligenza artificiale. Vogliamo dire che dobbiamo uscire dall’idea che “nessuna macchina/computer” può essere creativa, i fatti lo hanno dimostrato e sempre più lo dimostreranno: la creatività arriva dalla capacità di elaborare molti stimoli, e unirli in modo originale, una macchina ben progettata può assorbire infiniti dati e creare infinite versioni di algoritmi che possono “intrecciarle”, e poi può verificare con altri infiniti calcoli e dati l’efficacia di quanto prodotto e “imparare” per fare ancora meglio, ogni istante, senza stancarsi e senza richiedere ferie. Ma la mente umana, creativa (sempre che lo sia, non solo a parole) può inventare qualcosa che ancora non esiste, comprendere quello che l’oggettività non può raggiungere.
Siamo nell’era della robotizzazione delle immagini, e non rischiamo di uscire da questa competizione per colpa delle macchine, ma per una mancanza di visione industriale e perché in molti sono ancora convinti che sia possibile produrre a basso costo con bassa produttività, o di “far finta di nulla”.
Che soluzioni adottare, ora che il gioco si fa duro? Qualche giorno fa sentivamo parlare di DesignJoy, che propone il proprio lavoro creativo come un “all you can eat”, in pratica i clienti pagano una cifra mensile fissa (che è alta, si parla di 4/5000 dollari al mese, lo sappiamo che qualcuno direbbe… ma chi li paga…? Si pagano, eccome, ed è una soluzione dove tutti possono vincere) per avere qualsiasi richiesta esaudita in 48 ore, senza limiti. Dietro questo progetto c’è una sola persona, Brett Williams, che riesce a monetizzare 50/60 mila dollari al mese lavorando da solo. Se volere leggere qualcosa lo trovate qui. Se il costo di ogni singolo scatto, o grafica, o brochure ormai è sempre più in discesa, perché non offrire una soluzione “unlimited”, dove il singolo “pezzo” non ha un valore, ma invece si paga un servizio, efficiente, di qualità, che porta a creare una proposta che difficilmente può essere combattuta se non con una analoga realtà produttiva? Si creano legami continuativi, un’interazione continua, costante, una vera e propria integrazione che genera e amplifica anche la realizzazione di “idee visive”. Per farlo serve essere produttivi, molto produttivi, sapere come poter fare in poco tempo (ma bene) quello che altri fanno con maggiore fatica.
Se pensate che questa sia una provocazione, beh… non lo è: forse è meno romantica di tante altre visioni che forse hanno accompagnato e ancora accompagnano molti che di mestiere vogliono vivere di fotografia (o di grafica, di comunicazione), ma che se poi porta a produrre tanto a poco, forse è bene valutarla. E se volete pensarci su, date un’occhiata non solo a StyleShoots di cui abbiamo parlato e che vedremo come si svilupperà ora che è entrata nel mondo di Profoto, ma anche a Photorobot, o anche a Cappasity, che allarga ancora di più la visione verso il mondo della riproduzione 3D (sempre fotografica) e soluzioni che portano verso la realtà aumentata. Ma non fate l’errore di credere che queste cose “si sono già viste” e quindi non sono nuove; lo abbiamo già detto, non sono nuove, ma è nuovo l’approccio del mercato, che oggi si sta muovendo velocemente per avere risposte che sono appunto legate ad un servizio, e non ad un prodotto.
Pensateci, mentre aprirete le uova di Pasqua (si, settimana prossima saremo in ferie anche noi, quindi ci si vede di nuovo il 24 aprile: auguri a tutti!) 🐣