Il copyright nell'era dell'intelligenza artificiale
Sempre più si possono usare strumenti di intelligenza artificiale a supporto (o anche in sostituzione) della creatività. Ma se è una "macchina" a creare, di chi è il diritto d'autore?
Photo by Jack Young on Unsplash
Ammettiamolo: ogni giorno, le nostre scelte creative derivano o si ispirano sempre di più a scelte e ottimizzazioni provenienti da livelli più o meno profondi di intelligenza artificiale. Spesso nemmeno ce ne accorgiamo, ma anche quando inquadriamo una scena per fotografarla, l’intelligenza artificiale interviene per dare priorità di messa a fuoco sul viso individuando che c’è presenza di una persona; in altri casi, regola l’esposizione, comprende e interviene per regolare luce e addirittura i contrasti per recuperare dettagli in zone troppo scure o troppo chiare che il range del sensore non potrebbe garantire (le tecniche HDR servono a questo), fino ad arrivare con i sistemi più evoluti (eresia per chi si occupa di fotografia, ma i “sistemi più evoluti” sono quelli degli smartphone e non quelli delle fotocamere “vere”), che portano a modificare in modo evidente l’ambiente, la resa, il mood (per esempio, la modalità di ritratto su iPhone), nel video per creare in automatico un cambio di fuoco da un soggetto all’altro ed altri esempi. La creatività, la resa, l’impatto dell’immagine derivano da una serie di algoritmi che noi semplicemente “accettiamo”, ma che non abbiamo creato. Nell’ambito della post produzione, l’intervento dell’intelligenza artificiale applicata in moltissimi trattamenti è davvero molto evidente, e se è vero che in molti casi si tratta “effettivamente” di un intervento di tipo tecnico (eliminazione automatica di elementi di disturbo nell’immagine, scontorni automatici veloci), a volte però ci troviamo di fronte ad interventi più creativi, come per esempio il cambiamento del cielo e della luce che generano immagini oggettivamente “totalmente nuove”.
Tutti questi “interventi” di intelligenza artificiale li consideriamo delle funzioni utili, ma non ci viene probabilmente mai in mente che una parte di queste scelte non le stiamo facendo noi, bensì ci vengono proposte da un sistema di intelligenza artificiale. E ancor meno, a nessuno verrebbe in mente che l’autorialità di queste immagini andrebbe condivisa, almeno eticamente, con una “macchina”. Dal punto di vista giuridico è corretto, perché alla fine siamo noi che decidiamo se accettare o meno e in quale proporzione queste “proposte”. Insomma, è un po’ come avere un amico esperto che ci aiuta a fare delle scelte (anche creative, lo ribadiamo, non solo tecniche), ma poi l’immagine la componiamo e la finalizziamo noi. Crediamo però che sarebbe importante valutare, o anche solo comprendere, quando la componente “esterna” diventa preponderante, e addirittura di fatto non è stata condizionata dall’essere umano.
Dieci anni fa - ne avevamo parlato tempo fa - era uscito il caso del diritto d’autore del macaco che si era impossessato di una fotocamera del fotografo David J. Slater e si era scattato una serie di immagini, tra cui una davvero efficace, un vero e proprio selfie sorridente (riprodotta qui sotto), che ha generato un caso complesso sul diritto d’autore, visto che era evidente che l’opera di “ingegno” non poteva essere applicata ad un “non umano; pensandoci, forse questo concetto andrebbe rivisto, ma probabilmente la tematica burocratica e fiscale - dove mandare i soldi al macaco e come fagli pagare le tasse sui proventi del diritto d’autore - hanno portato alla più semplice valutazione che il macaco “non avesse un ingegno da riconoscere e tutelare”.
Archiviata così la storia del macaco fotografo, e accettando quindi che questa immagine è, di fatto, libera da diritti perché i diritti non sono applicabili, il futuro e il presente ci mette tutti di fronte a dei quesiti ancora più complessi, perché ci si sta domandando se per l’arte generativa, per esempio, che crea immagini senza alcun intervento umano ma attraverso degli algoritmi, allora sia possibile applicare le leggi del copyright per tutelarle. Qualche giorno fa, un comitato di tre persone dell’US Copyright Office ha respinto la richiesta di tutela di copyright da parte di Steven Thaler di un’opera d’arte che appunto è stata generata da un algoritmo chiamato Creativity Machine. Il documento finale di questa analisi ha messo in evidenza che l’immagine in questione (qui sotto, anche questa possiamo pubblicarla liberamente visto che, di fatto, non è tutelata da diritto d’autore), non “includeva un elemento di paternità umana" - uno standard necessario per la protezione.
Ma siamo ancora agli inizi, quando si parlava di algoritmi di arte generativa fino a pochi anni fa, si trattava di segni ed elementi visivi abbastanza semplici, ora abbiamo strumenti che possono davvero creare immagini senza alcun intervento umano, e sarà sempre più evidente che le “macchine” realizzeranno “opere artistiche” (possiamo chiamarle così? Noi pensiamo di sì) che richiedono una legislazione diversa e aggiornata, anche perché alla base degli algoritmi c’è sempre una mente umana, il processo di apprendimento delle macchine è stato comunque generato dall’uomo, anche se non è detto che ne abbia previsto tutte le sfumature evolutive.
Anche gli algoritmi, in quanto calcoli in grado di generare qualcosa che deriva dal calcolo stesso, sono un’opera di ingegno, e non è un caso che il copyright sul software è uno dei motori più forti dell’economia mondiale. Il problema è: chi ha scritto l’algoritmo può essere considerato anche l’autore del risultato del “calcolo” che porta ad un’opera d’arte? E’ come dire che se usiamo Photoshop automaticamente i fratelli Knoll, Thomas e John, che hanno scritto questo software, potrebbero vantare qualche diritto su ogni immagine creata con questo applicativo? Una follia, ovviamente no, ma se Photoshop, senza alcun intervento umano, iniziasse a produrre immagini, allora… la cosa cambierebbe, no? Se Photoshop oltre ad una funzione “auto generativa” di immagini (ipotesi teorica, ma nemmeno troppo) si interfacciasse con i dati di tendenza relative ai trend, al gusto, al successo, alla viralità, alla potenzialità di condivisione online e producesse, così, non solo delle “semplici immagini” ma “immagini di successo”. Questo porterebbe ad allineare la “creatività umana” e “creatività artificiale”, dove quest’ultima potrebbe risultare concretamente più efficace, economica, veloce, “colta” perché frutto di una analisi di miliardi di variabili e non di “sole” decine o centinaia di opzioni come riesce a fare la mente umana.
La questione che analizziamo in questo contesto, ovvero il diritto d’autore, apre un rischio ancora più importante: se un sistema di IA, che accede a degli algoritmi e a dei dati, può produrre l’immagine “perfetta” che non è “difendibile” dalle leggi del copyright, non potremmo pensare che chiunque, che ha accesso agli stessi strumenti, potrebbe ottenere lo stesso risultato, o ancor meglio infiniti risultati in grado di ottenere lo stesso impatto dal punto di vista della “sostanza” ma con infinite forme? Di colpo crollerebbe l’economia di quella che, in modo moderno, chiamiamo “content creation”? Tutti, con gli stessi strumenti, potrebbero avere infinite immagini perfette, e il costo di queste opere crollerebbe portandole allo zero, o quantomeno al solo costo dell’accesso agli strumenti di creazione: una slot machine dove per il solo fatto che si inserisce una monetina ci offre la possibilità di avere un premio sicuro.
Visto che poi comunque questi contenuti non sarebbero “tutelabili” , anche chi non avesse accesso a questi strumenti di creazione, potrebbe comunque usare e riusare all’infinito quello che viene creato da altri. Questo ed altro fa capire che le “leggi” del presente (e del passato) non possono essere applicate al futuro (presente), e che il diritto d’autore e di utilizzo deve trasformarsi forse in una proprietà digitale, che trasforma il concetto di “utilizzo” in “possesso” per essere tutelato realmente. Sono strade che sono al centro delle rivoluzioni che da tempo stiamo “battendo” e che stiamo materializzando in contenuti che consideriamo fondamentali per il futuro di chi lavora nel mondo della creatività (Blockchain, NFT eccetera). Ma questo è un discorso troppo lungo ed importante per essere affrontato in queste poche righe (ma rimanete connessi, è importante). Quello che conta è invece, in questo contesto, interrogarsi su:
Ma la creatività è caratteristica umana? Se si, come possiamo e potremo distinguerci da una intelligenza artificiale che stiamo sempre più educando ad essere creativa?
Lasciamo a voi la valutazione finale, o quantomeno consigliamo una riflessione in merito ;-)