

Scopra di più da Sunday Jumper
Il digital design è diventato un lavoro... davvero?
L'evoluzione del lavoro e il modo stesso di comunicare da parte delle aziende è in grande fermento, se ne accorgono (almeno negli USA) anche le istituzioni. E qui? Una prateria pronta per accoglierci
Photo by Pavł Polø on Unsplash
Negli Usa hanno scoperto che il Digital design è un mestiere. Sembra ovvio, ma fino all’anno scorso non era ancora qualcosa di “concreto” per il Bureau of Labor Statistics, ma alla fine è diventato un fatto. Per capirci, prima tale specializzazione professionale era inserita in concetti molto più ampi.
Per digital design, in questo contesto, si intende il lavorare con la user interface, con la progettazione di interfacce digitali, ma per noi il tema è molto più ampio: per noi digital design è usare il design, che è un elemento essenzialmente visuale (anche se non solo) per qualcosa di importante da comunicare, da trasmettere, da condividere. Già nel 2018, la società di consulenza aziendale e strategica McKinsey ha pubblicato un report dal titolo “The business value of design”, e qui sotto riportiamo uno schema che ne definisce i confini, mostrando come il design sia e deve essere ben più di quello che è il prodotto, di più di quello che è un feeling, di più di quello che è una fase e ancor di più di quello che è un’area di competenza di una azienda, ovvero un dipartimento della stessa. [saltate oltre l’immagine per continuare a leggere]
Tutto questo fa riflettere, non solo perché in Italia siamo bel lontani ancora delle corrette definizioni di mestieri che esistono da decine e decine di anni, quando si apre una partita iva ci si accorge di quanto siamo inquadrati da una definizione sterile, da coloro che vogliono proprio inquadrarci fiscalmente e con precisione, per capire ed analizzare cosa “effettivamente facciamo e per cui paghiamo le tasse”. Ma questo ci fa riflettere anche perché per noi il concetto di digital design non si riduce SOLO a questioni di user interface, grafica eccetera, ma all’importanza di quella comunicazione sempre più fondamentale all’interno di un’azienda, di un brand, di un’istituzione. E proprio per questo c’è bisogno di capire che sempre più le aziende avranno bisogno di creare questo design e questa comunicazione internamente, modificando le regole che finora hanno dominato il mondo della comunicazione stessa: agenzie e mondi esterni. Lo diciamo da anni, e cerchiamo di trasmetterlo ai nostri studenti che si stanno specializzando in comunicazione: il lavoro di design e comunicazione è ormai e per fortuna dentro le aziende, non accanto, perché il business digitale corre così veloce che i processi di strategia e creativi non possono passare da tanti step e da mesi di riunioni, da flussi che passano dai vari livelli dell’azienda agli account, poi alla direzione creativa, poi dalle verifiche con l’azienda passando i vari step, per poi tornare ai dipartimenti creativi e strategici che poi devono dialogare con le persone incaricate per la produzione, e così via. Tutto è interno, allineato, condiviso, costruito guardandosi negli occhi, e poi via… a verificare sul campo se le idee sono giuste, se bisogna correggerle e tutto questo con fatti e dati oggettivi.
Proprio oggi, in un post di Linkedin di Fabio Bin, uno dei fondatori di WeRoad (startup di grande successo che si occupa di far viaggiare le persone, specialmente i giovani con un approccio tutto nuovo, e azienda che apprezziamo molto proprio per la loro comunicazione, tutta sviluppata internamente), si parlava del “quanto sarebbe bello se davvero fosse vero che la creatività sta emergendo all’interno delle aziende”, e il commento era diretto al fatto che un articolo uscito di recente mettesse in evidenza che “ben due premi” a Cannes (la principale manifestazione dedicata alla pubblicità) erano stati realizzati “in-house”. Siamo lontani da questo traguardo, ma ci stiamo muovendo con velocità.
Sempre McKinsley, ad aprile di quest’anno, ha pubblicato un altro report che riporta un paio di frasi utili:
“Dicevamo ai designer cosa fare, ora ci stanno mostrando cosa è possibile, ed è molto meglio”.
"Ciò che conta di più è quanta libertà i designer hanno […]. Devono essere in grado di integrarsi completamente nei team di progetto ed essere visti come colleghi piuttosto che come un servizio asservito”.
Quello che vogliamo mostrare è che molte professioni sembrano non essere riconosciute ancora, altre sembrano essere sparite o in via di estinzione e chi se ne occupa si sente un po’ come il panda estinto (spoiler… i panda non sono più in estinzione, almeno loro si sono salvati), ma il loro spazio vitale potrebbe non essere più quello che ci si aspetta, o quello che si eredita dal passato. Pensare che chi si occupa di immagine e comunicazione può diventare una risorsa fondamentale non solo per parlare delle aziende e dei loro prodotti, ma addirittura modificare ed evolvere il business. Sempre nello stesso report citato, un’altra frase interessante:
Un altro segno distintivo dei team di progettazione che hanno riportato un alto livello di integrazione con il resto dell'azienda è stato il lavoro che hanno affrontato. I progettisti non solo si sono limitati a progettare prodotti e servizi per i clienti, ma hanno anche contribuito ad affrontare le sfide strategiche e aziendali interne.
Per riuscirci bisogna capire che non serve solo (come molti pensano) “creatività, arte e bellezza” fine a sé stessa, ma lavorare sul comprendere (e questo, lo ribadiamo, si riesce sempre più a farlo solo da “dentro”, proprio per quelle esigenze di velocità imposte dal mercato) come il design, le immagini, la comunicazione possano di fatto far crescere, modellare, supportare, rafforzare il business fino a modificarlo anche completamente, questo richiede un impegno sul “cosa dire”, “perché dirlo” e “come dirlo”.
Sempre di più le aziende hanno bisogno di parlare di quello che pensano, di come vogliono dirlo. Le nuove generazioni lo definirebbero “TOV”… vuol dire Tone Of Voice, e aggiungerebbero che si tratta ancor meglio di un “POV”, ovvero il Point Of View, ma che tradotto nel suo reale significato (per gli stessi giovanissimi) sarebbe il LORO punto di vista, visto che all’apparenza l’unica cosa che davvero sembra contare in un mondo che tende a richiudersi in se stesso: non si parla più “con gli altri” ma si mandano vocali dove alla fine si sta parlando solo con se stessi, dove quello che conta è: quello che si pensa, e quindi esiste, e non quello che esiste a prescindere da quello che si pensa, dove è prioritario commentare e non leggere - e cercare di comprendere - quello che si commenta.
Siamo di fronte ad un cambiamento, importante, è c’è lavoro, tanto lavoro da fare, e come spesso capita manca sia l’offerta sia la capacità di capire, da parte delle aziende, quello che devono cercare. Per fortuna ci sono tante aziende, illuminate (e non a caso molto digitali) che se ne sono accorte e che si stanno muovendo per allungare ancora di più il passo tra passato e futuro, tra stantio e fresco, tra l’innovazione delle parole a quella dei fatti. Voi, che ci state leggendo, la state seguendo questa strada?
Qui sotto, il “Weekly Jumper”, una raccolta di link interessanti che abbiamo scovato e che condividiamo con voi, commentandoli ed enfatizzando il lato interessante di quanto segnaliamo. Ve li proponiamo in ordine sparso, con leggerezza, d’altra parte siamo quasi in clima vacanze:
Amate la natura? Ecco per voi “Spotify” con i suoni della Terra, un bel modo per trovare un momento di relax e di ispirazione se siete dei creativi. [LINK]
Ma se usiamo l’intelligenza artificiale per realizzare delle immagini, di chi sono i diritti d’autore? [LINK]
A volte per capire come vedere la realtà ci aiuta pensare a come vedono… le persone che non ci vedono, e pensare a come si progetta qualcosa tenendo conto della cecità non solo è un approccio etico e inclusivo, ma ci fa capire bene quello che troppo spesso diamo per scontato, considerando che mediamente le persone “fingono” di vedere. [LINK]
Le 10 parole più usate dal giornale New York Times dal 1900 a oggi, in una grafica animata che trovate su Instagram. [LINK]
Un museo per la Generative Electronic Museum of Metaverse Art proposto da Tristan Eaton che promuove la sua arte nell'emozionante e vertiginoso metaverso [LINK]
Avete un account Instagram o TikTok e volete andare oltre al limite dell’unico link in bio disponibile? Ci sono tanti servizi, questo è gratuito e interessante [LINK]
Ci vediamo settimana prossima, buona domenica a tutti!