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Il futuro delle "non scelte" è un futuro arido.
Quanto la libertà infinita compromette il gusto della scelta? Tanto, ma oggi il digitale ci può offrire nuove opzioni interessanti per conservare traccia delle nostre scelte, anche nel futuro.
Photo by Egor Myznik on Unsplash
Quasi tutti i grandi business del digitale hanno sfruttato e sfruttano una delle filosofie tipiche che la vaporizzazione e la conversione da atomi a bit ha permesso: quello dell’avere (accedere a, non possedere) sostanzialmente tutto quello che esiste, o quasi. E’ una sensazione di potere davvero eccezionale ed è quasi impossibile non rimanerne affascinati.
Se siamo appassionati di musica, come non possiamo amare la libertà di accesso a tutta (o quasi) la musica del mondo grazie ai servizi di streaming, con Spotify in prima linea? Se amiamo il cinema e le storie ben raccontate, come non possiamo non adorare Netflix? In questo è davvero centrato lo spot Tudun Stories realizzato da Publicis Italia/LePub che gioca con il concetto:
Quando una grande storia sta per iniziare, lo senti.
legandolo al suono della sigla di Netflix, che risulta forte quanto quella che in passato magnetizzava il pubblico (la sigla di Carosello, quella dei cartoni animati, o “A mille ce n'è...", delle fiabe sonore dei Fratelli Fabbri).
Sono tanti altri i servizi che ci offrono, con un solo abbonamento mensile, un intero universo, se avessimo tempo infinito a disposizione avremmo oggi il maggiore potere che sia mai stato reso disponibile all’umanità: il sapere totale. Ad un costo irrisorio, potremmo leggere tutti i libri del mondo, ascoltare tutta la musica mai registrata, guardare tutti i film che sono stati mai girati, e probabilmente potremmo anche prevedere un servizio unico che tutte queste opzioni me li metta insieme per avere un pacchetto omnicomprensivo, ad un prezzo globale ancora più competitivo, come per esempio propone Apple con il servizio Apple One che unisce la musica, i film e le serie, i games e altri servizi. Tutto questo, ancor più, si manifesta all’interno di quei mondi dove l’accesso è gratuito, come i social, che non richiedono pagamenti in soldi, perché gli utenti stessi sono il prodotto, non i clienti.
Inutile dire che il vero problema è che noi, questo tempo infinito, non lo abbiamo. Anzi: non ne abbiamo proprio: quanti libri leggiamo, anche se abbiamo a disposizione una libreria che avrebbe fatto impallidire quella di Alessandria, accessibile 24 ore su 24 ore? Probabilmente un numero non di molto superiore a quello che riusciremmo a leggere se dovessimo acquistare un libro alla volta, perché solo in alcuni casi il motivo del leggere poco (solo il 40% degli italiani dai 6 anni in su legge almeno un libro all’anno, secondo i dati Istat pubblicati nel 2021 ma relativi al 2019) è alla fine una questione di costo. Le persone leggono poco per motivi di cultura, di educazione e di mancanza di tempo. Lo stesso vale per tutto, e l’offerta infinita non è altro che il trucco adottato dai ristoranti che propongono l’offerta “All you can eat”. Ci sono, è vero, quelli che mangiano tantissimo, ma sono altrettanti - se non di più - quelli che mangiano comunque poco, e il meccanismo si controbilancia.
Un’altra evidenza è quella che, nella testa delle persone, un canone fisso che offre “tutto” è molto più appetibile di un costo unitario, elimina le frizioni, sembra offrire una libertà infinita, che piace. Piace tantissimo. E il digitale, eliminando le barriere di spazio, di magazzino, di distribuzione, può permettersi di offrire questo catalogo infinito, e poi si affida e si rafforza grazie agli algoritmi che permettono di distribuire con grande efficacia contenuti che le persone non cercherebbero, e quindi “vendendo” di fatto qualcosa che non è stato richiesto e nemmeno cercato; questi algoritmi usano una ferrea/matematica logica (commerciale e strategica), la frequenza, la semplificazione dell’accesso, la “scelta” e i soldi che derivano dagli abbonamenti non vengono ripartiti dividendo semplicemente gli utili per il numero di prodotti offerti, e nemmeno in proporzione lineare rispetto al numero di esecuzioni/fruizioni di un singolo prodotto; il meccanismo è molto più complesso, e ci sono scelte, poteri (le case discografiche, gli sponsor, eccetera), tecniche che creano sulla base di una sofisticata analisi di dati, dei prodotti “pronti all’uso” (le playlist) e creano flussi continui che derivano dalle abitudini e dalle (poche) scelte effettuate dall’utente, e ancor di più dalle caratteristiche del suo profilo (età, sesso, area geografica, eccetera).
A cosa porta tutto questo? Ad una apparente “libertà di scelta”, che impone la “fatica” dello scegliere, e stiamo sempre più accettando che le scelte non le vogliamo fare, le subiamo, ci vanno bene perché non sembrano “imposte”, ma frutto della spontaneità. Non c’è, in tutto questo, solo la massificazione della cultura, dove finiamo racchiusi in una bolla dalla quale è impossibile uscire, e ancor meno crescere, che ci impedisce di sperimentare e scoprire qualcosa di nuovo, ma ci porta al tempo stesso a non percepire come “nostro” nulla. Uno dei posti che abbiamo amato di più era Tower Records (non il negozio originale di Sacramento, in California, e nemmeno quello più leggendario di San Francisco, ma quello di Londra, in Piccadilly Circus), dove si entrava per comprare un “pezzetto di musica”, che veniva scelta con cura, con passione, anche con dolore (perché si voleva comprare ben di più di quello che il portafoglio consentiva). Questi negozi ovviamente non ci sono più, anche se online il marchio è tornato un paio di anni fa. Il senso del discorso è che all’epoca, la scelta era complessa, e proprio per questo importante. Un disco (o un libro, o un film) era una scelta che seguiva un percorso decisionale profondo, e che per questo veniva ricordato e protetto nella memoria.
Oggi, il “tutto” porta anche ad un consumo sempre più veloce, non ci si ferma, non si assapora, non si protegge, non si ricorda. Non è, questo nostro, un argomento, come sembra, che desidera e auspica un ritorno al passato, che mette in cattiva luce l’innovazione e l’evoluzione. Quello che pensiamo sia importante è cercare di recuperare il gusto dello scegliere: dare valore ad ogni singolo SI, e anche seguire la strada di tanti NO, perché il tempo rimane lo stesso, anzi: è sempre meno. Non abbiamo tempo per assaggiare di tutto, abbiamo bisogno di dedicare tempo al cercare, scoprire, selezionare. E quando troviamo - anche nel calderone universale, dove c’è tutto e che quindi ci offre anche questa potenziale scelta, che come detto spesso non è realmente tale - quello che davvero ci emoziona e convince, dobbiamo preservarlo. Voi direte… facile, ovvio: si salvano come preferiti, si mette “una stellina”, si mettono “in cima alla lista”. No, non è solo questo, e non è nemmeno un vincolo nel passaggio tra una piattaforma all’altra concorrente (che crea a volte qualche problema, ma ci sono anche servizi che si occupano proprio di questo genere di “traslochi”. E’ qualcosa di più profondo.
Quello che percepiamo è che questo conflitto tra “avere tutto a disposizione” (senza scelta alcuna) e la scelta cosciente (che porta ad una intrinseca preziosità fatta di tasselli da tenere stretti con noi, anche da portare nel nostro futuro, magari per donarli alle persone che amiamo perché facendolo sarà come donare loro quelle scelte che hanno disegnato la nostra vita), oggi può diventare realtà, e non solo pensando di “uscire/fuggire” da questo mondo digitale, che ormai è parte integrante della nostra vita e dal quale ci è sempre più difficile, ma anche non desiderato.
Questa strada ha a che fare con il mondo di quello che definiamo “la nuova rivoluzione digitale”, di cui ci stiamo occupando con una attenzione quasi maniacale, perché percepiamo non solo il suo valore potenziale, ma specialmente l’urgenza del parlarne rapidamente “nel modo giusto”, e non con i toni sensazionalistici e speculativi che davvero sono nauseanti. Parliamo dei processi di validazione basati su blockchain, del potenziale degli NFT, ma ancor di più del fatto che si può andare oltre al possesso. C’è una filosofia di cui vogliamo parlarvi e che ha a che fare con la testimonianza di una scelta, l’impegno nell’essere parte di un progetto e di vederlo crescere, e del suo potenziale di trasferimento nel tempo a chi vogliamo, senza che nessuno possa togliercelo o contaminarlo. Perché il significato dell’essere “umani” è legato a quello che abbiamo raccolto, e a quello che vogliamo che rimanga del nostro passaggio, e questo non può essere solo una storia fatta di atomi, e non può essere nemmeno una chiave “di accesso” ad un mondo infinito, che alla fine non si può davvero considerare “nostro” e quindi ancor meno “da lasciare a qualcuno”.
Se tutto questo, vi stimola, ma magari non lo capite ancora, vi preghiamo di seguirci, ma anche di condividere, perché c’è un grande lavoro per creare coscienza di cambiamenti che sono difficili da capire e, forse, addirittura, da accettare. Facciamolo insieme, nei prossimi mesi Jumper sarà un centro di approfondimento di tutto questo ;-)