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Je Suis iPod: come non finire nel dimenticatoio
La parabola dell'iPod ci aiuta a comprendere come ci siamo mossi in questi 20 anni digitali, gli errori, le incertezze che abbiamo dimostrato e qual è l'approccio che possiamo adottare in futuro
Photo by Ben Blennerhassett on Unsplash
Approfittiamo della notizia della settimana (ok, di una delle notizie della settimana), ovvero che dopo venti anni di gloriosi successi, è stato mandato in pensione l’ultimo iPod ancora disponibile in vendita ufficiale (l’iPod Touch), creando tra l’altro una rincorsa da parte degli appassionati e dei nostalgici, storici o dell’ultimo momento, per accaparrarsi gli ultimi pezzi disponibili: negli USA dopo un giorno dall’annuncio gli iPod erano quasi tutti sold out, in Italia lo store ufficiale di Apple garantisce ancora la consegna entro un mese dell’iPod Touch, ma solo quello con minor capacità, 32Gb e solo in alcuni colori, che siamo sicuri si esauriranno velocemente.
In molti faranno spallucce, alla fine ormai abbiamo gli smartphone che svolgono perfettamente anche il ruolo di lettore di musica e quindi non sentiamo certo (quasi) mai l’esigenza di un device che faccia solo quello, ma è l’occasione per fare il punto sulla corsa che abbiamo vissuto in questi 20 anni di evoluzione, perché non c’è dubbio che l’iPod sia stato il precursore dell’iPhone, che a sua volta è stato il precursore degli smartphone come li concepiamo oggi, e la successiva evoluzione dell’iPad e dei tablet, che a sua volta sta influenzando anche l’evoluzione dei computer, fatto evidente sia in casa Apple con i processori M1 (sarebbe più corretto chiamarli SOCS, ma ci siamo capiti), ma anche in tutto il mondo dell’informatica, perché tutti sono alla ricerca di una strada simile per aumentare prestazioni, flessibilità e ottimizzazione dell’autonomia.
Ma non è solo questo: anche il lato dell’informatica non è detto che sia quello primario per chi ci legge, che di sicuro usa i computer, ma che come professione magari produce immagini fotografiche e video, si occupa di comunicazione: anche in questo campo, l’iPod, comunque, ha aperto una strada che poi ha rivoluzionato tutto: le fotocamere, le videocamere, i sistemi di registrazione audio, la fruizione di notizie, di contenuti, la formazione.
Quella che quindi è stata la storia dell’iPod non è importante solo per capire meglio il viaggio quantico che abbiamo fatto in questi venti anni, ma anche per percepire meglio quelli che siamo tenuti a compiere nei prossimi anni (non necessariamente 20, quello che abbiamo imparato è che le rivoluzioni sono sempre più veloci nell’adozione… quello che è successo in vent’anni, ora accadrà in 10, forse anche meno).
20 anni fa, la musica si ascoltava sui CD, sui vinili, oppure alla radio. Da quando è arrivato l’iPod, abbiamo visto una serie di rivoluzioni che si sono attivate:
La dematerializzazione del prodotto musica, e la conseguente digitalizzazione di un bene che ha modificato e stravolto tutta un’economia, che pur avendo subito inizialmente molti problemi (pirateria, ma non solo), ha poi trovato una sua rinascita;
iTunes, spazio dove la musica è stata “venduta”, che si collegava direttamente con iPod, è stata una delle prime piattaforme di e-commerce davvero globali, aprendo un nuovo modo di pensare alla vendita di beni, specialmente digitali;
Il cambiamento di business model: dal possesso alla fruizione, l’iPod non è solo il “papà” dei device che poi sono arrivati, ma anche indirettamente di Spotify, che ha pensato ad un modello economico che non era più quello dello scaricare “la propria musica”, ma di consentire un accesso regolamentato per ascoltare tutta la musica desiderata. Spotify ha preso l’idea di Napster (illegale) e l’ha trasformata in qualcosa non solo di legale ma che rispondeva alla perfezione alle esigenze degli utenti;
Non solo cambiamento di business model: il passaggio da “acquisto” ad abbonamento ha fatto cambiare le abitudini delle persone anche nell’esperienza di fruizione della musica: da album a playlist.
Facciamo un parallelo quindi con il mondo che, diventato digitale, segue (insegue) il percorso della musica.
Appare evidente, non serve scendere su questi dettagli, che oggi i sistemi di ripresa dell’immagine siano “gli iPod”, della musica: ormai tutti li hanno a disposizione, tra l’altro nello stesso device che ha mandato in pensione l’iPod stesso, ovvero lo smartphone, a cosa serve quindi “portarsi dietro” una fotocamera o una videocamera?
Chiaramente qui entrano un sacco di altre “sfumature”, che hanno tra l’altro al primo punto una questione importante: mentre la decisione di interrompere la produzione di iPod per una azienda che produce e fa miliardi con il prodotto che “lo ha sostituito” (l’iPhone) è una scelta facile, lo stesso non si può dire per aziende che ovviamente sono esterne a questo business. È probabile che se delle società come Nikon, Canon, Olympus, Pentax, eccetera avessero percorso e vinto nel business degli smartphone, qualche marchio in più avrebbe fatto una scelta simile a quella di Apple, ovvero di cancellare una linea di produzione a vantaggio di quella più vantaggiosa. In questo, l’unica azienda che questa scelta l’avrebbe potuta anche fare è Sony, che è leader nel settore della fotografia su smartphone (gran parte dei produttori di smartphone usano componenti di Sony, specialmente sensori, per i propri apparati di ripresa fotografica su smartphone), ma in questo caso i “reparti” dell’azienda nipponica sono diversi: uno produce e vende apparecchi da ripresa agli utenti, l’altra componenti alle grandi aziende e la quota di mercato degli smartphone di Sony è così piccola da non essere certo una voce che possa, al momento, mettere in dubbio il mantenimento delle linee di produzione fotografica.
Cosa dobbiamo fare, però, per non essere “noi” l’iPod, e quindi rischiare di essere mandati in pensione perché “superati”?
Il problema di chi produce immagini non è certo un problema di “device”: non è certo smettendo di usare (o comprando) un apparecchio diverso da uno smartphone che possiamo salvare o compromettere la nostra professione, il nostro ruolo, ma cercando di capire quale è il “cambiamento di business” che è stato trainante nell’evoluzione della musica.
Diciamocelo: questa battaglia l’abbiamo già persa: siamo “realmente” l’iPod, siamo già stati “messi da parte” per lasciare quasi tutto lo spazio al “nuovo”, e per di più non da giorni o da mesi, ma da anni.
Non è stato trovato un approccio di business basato sull’abbonamento e meno sulla vendita di ogni singolo contenuto (lo hanno fatto, invece, le agenzie di Stock);
Non è stato sfruttato il percorso che potesse permettere un uso gratuito di contenuti “basic”, che sempre meno persone sono/sarebbero disposte a pagare, per poi avvicinare quella fetta di utenti disposti ad avere un trattamento “premium” (lo hanno fatto piattaforme come Unsplash, Pexels eccetera);
Non è stata trovata quasi mai una soluzione che potesse coprire questo accesso “basic” coprendo le spese con la pubblicità (lo hanno fatto gli/le influencer usando le piattaforme social);
Pochi sono riusciti a seguire con impegno e con forza la strada dell’alternativa: mentre si viveva il periodo dell’iPod e poi di Spotify, la musica ha trovato una strada alternativa nel vinile che oggi ha un valore di nicchia ma significativo (lo hanno fatto alcuni che hanno puntato sulla stampa fine art, sul bianco e nero, sulla produzione ad alto valore aggiunto “analogico”).
Come si può vedere, anche il mondo dell’immagine ha permesso uno sviluppo di nuovi business (quelli inseriti in corsivo in queste voci), ma evidentemente non è stato possibile per molti, moltissimi, trovare una chiave di lettura di questo tipo, per approccio nei confronti del proprio mestiere, per dimensione del business (e di visione), per carattere, per personalità.
Non fa niente, non per questo siamo pronti a diventare “vintage”, siamo di fronte ad una nuova rivoluzione, quella degli smartphone ormai è storia, inutile piangere sul latte versato.
Questa nuova tappa è tutta (tutta) digitale: produzione, distribuzione, promozione, monetizzazione, pagamenti. E questa tappa è davvero una scommessa che non si può perdere, non si può tralasciare, avrà a che fare con:
Capacità di comunicare in modo digitale con efficienza, puntando sul creare community che possano darci uno “zoccolo duro” a cui rivolgersi, non solo attorno a noi, ma in tutta la rete. Per farlo serve empatia, competenze specialistiche, dedizione in termini di impegno e di prodotti da offrire;
Pensare al prossimo effetto “iPod”, perché il prossimo device che diventerà vintage sarà proprio lo smartphone: non tra un anno, non tra due, ma prima di 10 di sicuro. Se pensiamo che pensare ai prossimi 10 anni sia un futuro troppo “oltre” allora bisognerà gestire il presente cercando dello spazio che ormai però rischia di essere saturo; se guardiamo invece alla progressione che abbiamo visto in questi venti anni, ci accorgiamo che non sono serviti tutti questi anni per delle realtà che sono partite in anticipo per avere grandi successi: semplicemente hanno iniziato a far rendere questa capacità di “vedere” in anticipo il futuro. Non chiudetevi quindi nell’idea che il futuro è troppo lontano, il futuro è già oggi… quando le rivoluzioni si manifestano a tutti, è ormai troppo tardi per salire a bordo sperando di raccogliere più che le briciole;
La prossima rivoluzione fatta di integrazioni Phigital - Fisico+Digital - di metaverso, di NFT, di Blockchain, di DAO (Organizzazione autonoma decentralizzata), di criptovalute, di immagini di sintesi, di contenuti immersivi, di realtà aumentata e virtuale, richiede tanta formazione, cultura, tempo da investire. È un passaggio che ci chiede di essere “umani in modo diverso”, di ripensare al rapporto tra le relazioni, le interazioni, la percezione stessa del valore. Per evitare di sbagliare, di non capire, di perdere la strada, ne sa qualcosa chi senza una visione attenta e non ingenua si è visto sostanzialmente azzerare i propri investimenti sulle criptovalute Luna e TerraUSD, che proprio qualche giorno fa sono state “attaccate” e quasi sicuramente “annullate” dal panorama finanziario.
Il futuro è ricco di occasioni, non solo di speculazioni (che come abbiamo già detto in passato, non ci interessano affatto, anzi le evitiamo in tutti i modi), ma serve partire ora guardando, osservando, mettendo insieme cultura e conoscenza, per iniziare a “sognare” un futuro e iniziare a disegnarlo. Tornando alla storia dell’iPod, oltre a creare una economia incredibile ad Apple, questo device ha permesso di innescare altre evoluzioni, che hanno generato grandi successi a tantissime realtà del mercato: grandissime, come Spotify che di fatto non esisteva prima dell’iPod, che ha fatto rinascere il business della musica a 360 gradi anche quando l’iPod è scomparso dalle tasche di tutti, ma ha anche creato opportunità incredibile ai “piccoli”, agli artisti indipendenti, alle realtà che erano “lontane dai riflettori”, ha creato l’opportunità di investire e di poter credere in progetti che, prima, non trovavano occasioni. Ed eravamo ancora in una fase molto preistorica del mondo digitale.
La chiave del futuro è legata ad una parola, decentralizzazione. Non sarà facile, ma stiamo entrando in una fase della storia dove forse i piccoli possono trovare spazi che i big della tecnologia (Facebook/Meta, Google, Amazon, la stessa Apple) ci hanno tolto. Come? Ecco, questa è la domanda che dobbiamo mettere a fuoco.
Se “come” è una domanda che ti stai facendo, allora iniziamo a capire insieme se questo “come” possiamo svilupparlo insieme. Mandaci una mail cliccando qui e dicci che ne pensi e cosa pensi di avere bisogno, perché di sicuro qualcosa uscirà da questi pensieri ed è arrivato il momento per tornare a guardare insieme questo futuro.