La fotografia, cioccolatini di una scatola che è il prodotto da vendere (e che oggi potete confezionare anche voi)
Il fotografo del futuro non sarà solo un creatore di immagini, ma un progettista di visioni: tra AI, dazi, e strumenti creativi senza codice, si apre una nuova era. Per chi saprà vedere oltre...
C'è qualcosa che in molti non considerano, dell'epoca che viviamo. Mai il mestiere del fotografo è stato così ricco di strumenti, così affamato di immagine, così capace di generare meraviglia con un click. Eppure mai il fotografo si è sentito tanto inutile, tanto in bilico tra estinzione e reinvenzione. Viviamo un paradosso lucente: fotocamere dal costo “medio” che superano in capacità e velocità le ammiraglie che, fino a pochi anni fa, erano trattate come reliquie sacre. L'intelligenza artificiale che guida l'autofocus, la pulizia dei file ad alti ISO, i sistemi di stabilizzazione che permettono riprese fantastiche: tutto sembra congiurare per dire – ora sì, la tecnica è risolta. Eppure, non è forse proprio in questo momento che emerge la vera domanda?
Perché se tutto può essere fatto bene da chiunque (perché molte di queste innovazioni si trovano anche su uno smartphone o in una fotocamera da “content creator”), allora perché dovrebbe esistere ancora il fotografo professionista?
Mentre lo stupore si diluisce nell'abitudine e tutto viene dato per scontato, l'economia si mette di traverso a stringere la morsa. I dazi annunciati da Trump non sono e non saranno semplici misure doganali: sono terremoti. Leica, Sigma ed altri hanno già iniziato a dichiararlo: da giugno, tutto costerà di più, sarà inevitabile, sarà così per tutti. E peggio per le piccole aziende artigianali americane che nel settore della fotografia sono sull'orlo della resa, stritolate in una guerra che non hanno dichiarato. Perché chi comprerà accessori specialistici in un settore che sembra non avere futuro alcuno? Chi oserà investire nel proprio strumento, quando il futuro sembra così liquido da evaporare al primo calore geopolitico? Quindi anche potersi differenziare usando attrezzature più evolute rispetto alla massa dei “tutti che fanno fotografie e video” e che magari hanno l’età dei vostri figli o nipoti, diventa sempre più pesante (dobbiamo permettercelo, per farlo dobbiamo avere di fronte delle sicurezze di entrate economiche superiori… proseguite a leggere che forse capiamo come riuscirci).
Nel frattempo, e tutto questo per non farci annoiare o portarci a pensare che le rivoluzioni sono finite, Figma - la più luminosa azienda del settore del software per il mondo della comunicazione visuale, che forse non conoscete o forse avete solo sentito citare come nome (magari da noi) - compie un balzo che ricorda più un salto quantico che un aggiornamento software. Ora oltre che fare grafica, in particolare per gli schermi (web, app, social), ci permette di progettare, generare, pubblicare veri e propri prodotti completi, senza codice e con l'AI integrata a ogni snodo del processo. Siti web che si costruiscono trasformando come per magia design in programmazione, contenuti visuali che emergono da un prompt, flussi social automatizzati e personalizzabili per ogni canale con pochi gesti.
Non è solo una feature, è una dichiarazione di intenti. Il design non è più lo spazio della mediazione tra idea e tecnica: è diventato il luogo della generazione diretta, senza attriti. Canva segue questa strada con approccio popolare, Adobe insegue con la sua pesantezza da colosso, ma la traiettoria è comune: il processo creativo si sta smaterializzando in ambienti sempre più intuitivi, orizzontali, accessibili. L'idea stessa di "professionista" vacilla se chiunque può creare (bene) senza saper fare.
Ma è qui, esattamente qui, che si apre il varco per chi ha occhi. Non per chi ha fotocamere. Non per chi ha preset. Ma per chi ha occhi.
Occhi che sanno vedere l'invisibile che pulsa sotto la superficie liscia dell'estetica. Occhi che non si limitano a inquadrare, ma che squarciano, che leggono, che interpretano le esigenze del mercato. Perché oggi non basta più saper fotografare: bisogna saper costruire mondi. La fotografia, se vuole avere un futuro, deve diventare filosofia incarnata in forma visiva. E il fotografo non necessariamente DEVE, ma può ora diventare pensatore, regista di processi di comunicazione visiva, editore di realtà.
Ma anche di più: deve diventare progettista. Progettista di esperienze narrative complesse, in cui l'immagine non è che il cuore pulsante attorno a cui si innestano pagine web, funnel di comunicazione, contenuti interattivi e piattaforme editoriali. La fotografia non basta più a se stessa: ha bisogno di contesto, di messinscena, di destinazione. E chi la produce deve saperla incastonare in un sistema coerente, riconoscibile, condivisibile. Dylan Field, co-fondatore e CEO di Figma, ha dichiarato:
“I migliori designer sanno creare esperienze dinamiche e interattive che pochi altri riescono a eguagliare; con gli strumenti AI giusti speriamo che molti più utenti possano avvicinarsi a quel livello”.
Sostituire la parola “designer” con “fotografi” e forse la strada sarà più chiara, a vostro vantaggio.
Basta vendere pacchetti di ore. Basta misurare il valore in scatti al minuto. Il mestiere che ci attende non è più quello di chi produce immagini, ma di chi produce visione. E questa visione oggi si manifesta attraverso interfacce, interazioni, esperienze digitali pensate per vivere in uno scroll, in un tap, in una sequenza.
Abbiamo dedicato a questo tema dell’evoluzione dell’innovazione dei software che diventano sempre più un flusso per la creazione di prodotti di comunicazione che permettono di individuare il proprio ruolo con maggiore nitidezza e speranza un intero report (con dati, statistiche, previsioni, consigli) realizzato dalla nostra divisione Jumper BRAIN, accessibile gratuitamente a tutti i nostri abbonati ad AiwayLAB. Se il vostro lavoro (e il vostro fatturato) vi sta stretto… apritevi alle occasioni incredibili che oggi avete tra le mani.
Il futuro del fotografo non è più nel suo zaino, ma nella sua mente. Non nei suoi obiettivi, ma nelle sue domande. Non nel perfezionismo tecnico, ma nella tensione etica ed estetica che lo porta a dire qualcosa di nuovo, di necessario.
Chi vorrà resistere dovrà imparare a mutare. Non c'è altro modo. Il resto è nostalgia, è elegia per un mestiere che non è morto – ma che, se non cambia, non ha più niente da dire.