

Scopra di più da Sunday Jumper
La fotografia sullo stato della fotografia è molto più nera che bianca
Un report internazionale ha analizzato come sta l'economia dei professionisti della fotografia, cercando di disegnarne il quadro per comprenderne le criticità e specialmente le possibili soluzioni.
Di recente è stato pubblicato un rapporto sullo stato della fotografia 2022, realizzato da Catchlight e dalla Knight Foundation che ha intervistato un totale di 1.325 fotografi in 87 paesi. Quest’ultimo un dato che non rappresenta una realtà concreta, perché quasi tutti gli intervistati lavorano e vivono negli USA… quindi più che altro è un rapporto che disegna la situazione della fotografia negli USA, con qualche allargamento all’esterno. Lo si percepisce anche da molte delle questioni trattate che sono state enfatizzate nelle domande poste agli intervistati, che fotografano (scusate il gioco di parole) molte problematiche più evidenti in quel mercato, mentre ne mancano altre che sono/sarebbero più vicine a noi. Ma non fa niente, alla base ci sono elementi interessanti, quindi vi consigliamo di scaricare il report per analizzarlo con maggiore precisione.
Tra i dati importanti da segnalare e confrontare (questi si, probabilmente paragonabili e affini anche alla realtà italiana ed europea), si fa notare che la metà di tutti gli intervistati ha dichiarato di guadagnare meno di 40.000 dollari netti all'anno, mentre il 30% ha guadagnato meno di 20.000 dollari. Solo una percentuale, circa il 15% degli intervistati, fattura più di 70.000 dollari all'anno, e addirittura solo il 6% degli intervistati dichiara di guadagnare più di 100.000 dollari all'anno. In pratica, concretamente sono molti i fotografi che operano ad un livello insufficiente per potersi sostenere economicamente con la fotografia, e i dati segnalano che i giovani in questo scenario sono anche quelli che soffrono di più, che in molti casi i fotografi non hanno (non possono avere/permettersi) figli, e che il 61% non ha alcun dipendente al di fuori della famiglia per svolgere il proprio lavoro.
Potremmo dire: sì, lo si sapeva, non serviva una statistica, non servivano oltre 1000 interviste, ma è comunque importante che questo sforzo sia stato fatto, per cercare di parlarne, perché non è nel silenzio che si possono trovare delle risposte. Perché va detto che la fotografia e il video hanno un ruolo sempre più determinante nella dieta dell’informazione di tutti, eppure i professionisti di questo mondo rischiano spesso di non arrivare a fine mese con le entrate che riescono a percepire.
Distaccandoci un attimo dai ruoli che la fotografia può avere in ambito creativo o commerciale, questo pensiero ci porta a valutare che se l’immagine è uno dei più potenti strumenti per raccontare la verità, allora sarebbe opportuno preoccuparsi che in condizioni di precarietà possono nascere meccanismi che portano ad accettare manipolazioni di questa informazione a vantaggio di poteri più forti. Forse sembra eccessivo, ma se diamo un’occhiata alle statistiche sulla libertà di stampa, nel report annuale di Reporters without Borders (RSF), l’Italia viene posizionata solo al 58mo posto, perdendone ben 17 dall’ultima rilevazione del 2021. Nessuno pensa nemmeno di poter competere con Norvegia, Danimarca, Svezia (rispettivamente al primo, secondo e terzo posto), ma forse appare difficile da comprendere e digerire di essere molto sotto Costa Rica, Argentina, Repubblica Domenicana, Burkina Faso, Uruguay, Sierra Leone: Paesi che non hanno poi così tanto brillato negli anni in questo specifico ambito.
Come può un Paese come l’Italia, che dovrebbe essere democratico e dove addirittura tutti sembrano poter dire tutto quello che vogliono (a volte fin troppo, in nome di un diritto che di fatto è ben più una spettacolarizzazione non delle opinioni ma della discussione fine a se stessa per fare audience e per vendere copie dei giornali), essere così in basso in questa classifica? Molti osservatori indicano come causa proprio la precaria solidità economica del sistema di informazione in Italia, che porta ad una fragilità che lo fa spesso cadere in compromessi che non dovrebbero essere accettati, per non urtare la sensibilità degli inserzionisti dei giornali, o addirittura per compiacerli.
Con quali attività i fotografi riescono a recuperare la mancanza di introiti persi dalla fotografia? Le più popolari sono l’insegnamento (20,5%), la produzione di foto o film (19,3%), la realizzazione di contenuti scritti (15,1%), le attività no profit (14,4%), la regia (4,8%) e la progettazione grafica (4,6 %). Questo conferma la posizione portata avanti anche da noi che ormai da tantissimi anni puntiamo ad allargare la visione, lo scenario e le competenze tecniche/strategiche in tanti campi, ma è evidente - anche dal nostro punto di osservazione - che queste evoluzioni/trasformazioni sono difficili da far sposare, e lo diciamo sapendo che proprio i nostri lettori sono i più attenti a queste evoluzioni. Siamo orgogliosi e coscienti di avere la community di fotografi più “open minded” di tutta Italia, eppure sappiamo che anche per loro è difficile cambiare approccio al business e alla professione.
Quello che sentiamo necessario è un percorso su due binari: uno veloce e uno a lungo termine. Sul breve bisogna trovare attività che possano generare un guadagno che possa coprire in breve non solo la riduzione delle entrate (che ovviamente hanno subito un drammatico stop nel periodo del Covid-19, dal quale oggi stiamo forse riuscendo ad uscire, senza riuscire a riportarci ai livelli precedenti alla Pandemia), ma superarle, visto che comunque erano insufficienti all’epoca e oggi sono appesantite dai costi sempre più elevati, dalle materie prime, dei viaggi, delle bollette della luce. Per questo, ne siamo convinti, serve cambiare approccio di vendita e di proposta nella fotografia, ne abbiamo parlato qui ma non solo: quello che notiamo ogni giorno nel nostro lavoro è che c’è una grande esigenza di continuità di produzione, eppure vediamo poco i fotografi calarsi in questo approccio e raramente si propongono per una collaborazione che è fatta da percorsi di comunicazione visuale che ogni giorno richiede nuovi contenuti. Un’immagine al giorno porta a 365 immagini all’anno, ve lo assicuriamo: ci sono molti più clienti che hanno bisogno di questo tipo di servizio che non clienti che hanno bisogno di 1 foto ogni 365 giorni. E, attenzione, non si tratta di fare “tante fotografie (video) dalla qualità scarsa”: ancora oggi c’è la percezione che produrre tanto significhi produrre male e con bassa qualità… non è così, non può essere così, oggi non è credibile sperare di vendere prodotti così popolari come la fotografia offrendo quantità a bassa qualità (e farsi pagare). Devono essere immagini eccezionali, sequenze di immagini per raccontare una storia, video realizzati con grande impatto (possibilmente verticali, o al massimo quadrati, sempre meno orizzontali).
Ma, come detto, questa è la soluzione nel breve. Mentre si sviluppa questo percorso di copertura di mancati introiti e di maggiori spese, bisogna costruire qualcosa di più solido, per il futuro. E per fare questo servono progetti di sostanza, grandi, che richiedono di sicuro studio, preparazione, analisi e il giusto tempo per maturare. Progetti che possono e sono studiati per trovare sponsorizzazioni, investimenti, collaborazioni, partnership, anche usando nuovi strumenti e nuovi metodi, i tasselli li stiamo indicando, per esempio qui. Si possono aprire canali dove si può raggiungere un pubblico con esigenze verticali disposto a investire anche piccole cifre al mese per ottenere dei contenuti di grande valore, pensiamo a piattaforme come Patreon, Buy Me A Coffee e la stessa Substack che usiamo noi per questi contenuti. Lo diciamo da anni, andrebbe sostituita la parola “fotografo” (videomaker) con “Content Creator” e bisogna guardarsi attorno osservando e valutando tutti gli sviluppi che vengono promossi proprio in questo campo. I grandi del mondo dei social, da Meta a TikTok, da YouTube a Snapchat o a Pinterest investono ogni anno centinaia di milioni di dollari per i creatori di contenuti…
La domanda che molti di voi potrebbero porci è: come partire, che strada scegliere, come sviluppare la relazione con questi nuovi clienti e questi nuovi mercati? Per esempio cambiando il modo di proporsi sui social, creando un messaggio che si preoccupa delle esigenze delle persone a cui vi volete rivolgere e non alle vostre esigenze di trovare lavoro e soldi. Serve approfondire i linguaggi della comunicazione visiva contemporanea, che spesso invece è conosciuta da chi questo mestiere non lo fa. E con cui bisogna confrontarsi, per non essere superati e sostituiti.