La generazione che aspettiamo (ma che forse è già qui)
Durante una serata a Nerviano, i protagonisti inattesi sono stati i bambini: attenti, curiosi, senza paura del futuro. Non come noi, che pur dobbiamo preparare la strada per loro. Iniziamo a farlo...
Non so se sia stato un caso – o forse è un segnale che dovremmo imparare a leggere meglio – ma la scena di un normale giovedì sera a Nerviano, in provincia di Milano, aveva qualcosa di sorprendente. Avevano organizzato una tavola rotonda per parlare del futuro del lavoro e della nostra società, del come trasformare la propria passione in mestiere.
L’invito era arrivato qualche settimana fa da Giraunavolta, un’associazione culturale che propone laboratori, eventi, incontri dedicati ai giovani, il target primario doveva essere tra i 15 e i 24 anni. Era un’occasione preziosa per noi, di quelle che normalmente immaginiamo di affrontare davanti a una platea di ragazzi e ragazze, con lo sguardo un po’ spaesato e le domande che spesso arrivano solo alla fine, timide, come se il mondo fosse ancora troppo grande e troppo lontano per essere afferrato, e che forse fa paura.
E invece, no. Invece, in prima fila c’erano bambini – sì, tanti bambini – di nove, dieci, undici, dodici anni. Con il libro di Francesco Muzzopappa (e le illustrazioni di Sio) in mano – Fiabe brevi che finiscono malissimo, quel titolo così perfetto per stuzzicare la curiosità e scatenare le risate – e una capacità di ascolto che non ti aspetti. Attenti, ironici, curiosi, con le domande pronte. Al sottoscritto, a Francesco Muzzopappa, a Carolina Re Depaolini, assessore alle pari opportunità, che ha raccontato qualche dettaglio della sua vita che la porta ad esplorare tante sfaccettature e cercare sempre nuove strade (facendolo con ironia ma specialmente con un bellissimo mix di timidezza ed attivismo). A tutti noi. E anche la giornalista di Lifegate, Camilla Soldati, che non ha potuto esserci, l’abbiamo percepita comunque come una presenza in filigrana, con il suo sguardo su “Cose belle dal mondo”, libro realizzato in collaborazione con LifeGate che ha, nel titolo, nelle intenzioni e nella visione, l’importante e centrato messaggio del non pensare che va tutto male.
Il punto, però, non è solo questa inversione inattesa di target di utenti/partecipanti – non i giovani adulti, ma i bambini. È la sensazione che, forse, sia questa la generazione che stiamo davvero aspettando. Non la Gen Z, che – pur essendo nativa digitale, o forse proprio per essere tale – spesso risulta ingabbiata da ansie, paure, uno sguardo che oscilla tra il disincanto e la fatica. E nemmeno i millennial, e ancor meno noi (più vecchi, senza necessariamente sentirci boomer, anche se poi boomer si è specialmente quando non ci si sente tali), che ci portiamo addosso il peso di dover ancora capire dove stiamo andando.
Questi bambini, invece, sembrano già oltre: sono i nativi dell’AI. Per loro, l’AI non è un cambiamento da gestire, non è un’incognita da decifrare, ma una normalità che sarà sempre più integrata nella loro vita – come un linguaggio, un’estensione delle mani, una compagna di avventure. La vivranno con leggerezza e naturalezza. Non sarà “la cosa nuova”, sarà semplicemente la cosa. Ed è già così oggi, le domande, anche molto profonde anche se con il sorriso sulle labbra e le caramelle gommose in bocca, prese per tentare di smuovere le timidezze dei giovani della GenZ invitati ufficialmente e non pervenuti, che ci hanno spesso lasciati senza parole, ma con tante speranze.
E allora – lo sentiamo sempre più forte – il nostro compito è uno solo: prepararci. Prepararci per preparare loro il campo. Perché l’AI sarà inevitabilmente parte delle loro vite, e il modo in cui ci convivranno dipenderà anche dalle regole che oggi siamo chiamati a costruire. Tocca a noi – adulti, professionisti, genitori, educatori – assumere la responsabilità di viverla per primi, questa rivoluzione, senza demonizzarla, senza trasformarla in una minaccia, ma con la consapevolezza che le scelte di oggi costruiranno il domani. Serve attenzione, certo, e anche un pizzico di leggerezza. Ma soprattutto serve un impegno attivo: capire, studiare, sperimentare. Non possiamo delegare.
Qualche giorno fa, Sam Altman e Jony Ive (il leggendario designer di Apple) hanno annunciato un progetto che sembra scritto apposta per raccontare questo passaggio: la creazione di un dispositivo per interagire in modo più naturale con l’AI, un companion progettato per essere parte integrante della nostra quotidianità. Non un assistente virtuale da evocare a comando, ma qualcosa che diventi parte del nostro modo di vivere. I bambini questo lo hanno probabilmente già capito. Lo stanno capendo, lo capiranno meglio di noi. Ma la missione, quella vera, è nostra: accogliere questa nuova normalità e costruire un ambiente sano, regolato, inclusivo – capace di accompagnare la loro leggerezza con la nostra consapevolezza.
E magari, ogni tanto, lasciarci contagiare anche noi dalla loro capacità di ridere di una fiaba che finisce malissimo (il libro ve lo consigliamo spassionatamente, è sul nostro comodino e ci sta tenendo compagnia).
Ps: alla fine dell’incontro, si sono avvicinati i bambini, ci hanno parlato e ad un certo punto una ragazzina, Viola, tra le più interessate e che vuole “disegnare” nella vita, mi ha omaggiato di una sua opera che mostriamo qui sopra. Mi ha spiegato che è raffigurata una carpa. Ed è stato un gesto dolcissimo, bellissimo, e di sicuro un ricordo che conserveremo come una cosa preziosa. Grazie, Viola!