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La solitudine dei fotografi, vlogger, content creators (e, in generale, degli esseri umani)
Leggendo un'intervista che parlava di tutt'altro, ci siamo messi a dibattere sull'evoluzione del lavoro e poi addirittura dell'esistenza umana: ormai la solitudine produttiva è diventata normalità?
Qualche giorno fa è uscita - ripresa poi da altre varie fonti - un’intervista realizzata da DPReview a Yosuke Yamane, Direttore della Panasonic Imaging Division per parlare del futuro delle fotocamere/videocamere, con particolare attenzione al campo del formato Micro Quattro Terzi, una soluzione adottata da diversi brand per creare un sistema versatile di apparecchi di ripresa compatti e moderni. Molte delle tematiche riguardavano dettagli tecnici, che lasciamo approfondire a chi è interessato nello specifico a questi argomenti che, sono ormai esterni al focus di questo spazio di informazione e specialmente del contenuto specifico che intendiamo trattare in questo articolo. Sono anche interviste che comunque tendiamo a non commentare e discutere, perché dopo decenni di impegno giornalistico ed editoriale nel settore della fotografia, abbiamo dovuto fare e poi maneggiare centinaia di commenti ed interviste a manager che al 90% hanno semplicemente ed unicamente trasmesso politica e strategia commerciale della propria azienda, e non una limpida visione nei confronti del futuro, anche quando era evidente che il mercato stesse andando dall’esatta parte opposta rispetto alle dichiarazioni che stavamo ascoltando. E questo distaccamento dalla “realtà” - ve lo possiamo garantire - è sempre stato inversamente proporzionale alla posizione gerarchica del manager intervistato: più facile scavare segni di realtà dalle periferie locali, o dai singoli manager meno “allineati” che non puntare al vertice. Non sono mai state dette “vere bugie”, ma quelle che potrebbero essere chiamate “realtà alternative”, o “realtà aumentate” di cui questi manager erano e sono sicuro credono anche fermamente (quindi, per loro, sono realtà), ma arrivano dai data-set che ricevono e di cui si alimentano, provenienti e derivati dai fogli di Excel e ancor di più dalle slide preparate per le riunioni interne e pubbliche. Semplicemente, quella che dichiarano è la “loro realtà”, interessante, totalmente lecita e rispettabile, ma spesso non corrispondente alla realtà esterna.
Quando leggiamo infatti che questo autorevole manager dice:
"Penso che la necessità di fotocamere piccole e leggere che possono essere trasportate in giro tutto il tempo come gli smartphone aumenterà, specialmente tra le giovani generazioni".
Una realtà condivisibile, ma non solo non possiamo non pensare che - casualmente - si parla e si enfatizza come “la soluzione” proprio una delle caratteristiche tecniche su cui si basa il sistema proposto dalla sua azienda, legato fortemente alle dimensioni degli apparecchi (quindi porta acqua al suo mulino), ma al tempo stesso - in un sano confronto intellettuale, dove non si cerca di “avere ragione”, ma più semplicemente e correttamente “si ragiona” - possiamo domandarci se davvero le nuove generazioni, che oggettivamente sembrano non sentire l’esigenza di una fotocamera come “oggetto”, se non come oggetto di culto o di differenziazione, non desiderino ben più un miglioramento progressivo della qualità delle fotocamere “all’interno” (e non in aggiunta) del proprio smartphone. Ma è ovvio che un manager di un’azienda che vende prodotti in concorrenza con l’andamento del mercato, non può dichiarare - a meno che non sia pronto a fare un annuncio di integrazione, e di conseguenza a cambiare la rotta del business - qualcosa del genere.
Quello che invece ci ha decisamente interessato in questa intervista, è un punto in cui si parla del tipo di mercato a cui Panasonic sta guardando (non solo loro, tutti, specialmente se si parla di video), ovvero quello dei content creators, e in questa area dice:
"Stiamo prendendo di mira il creator dei social media. Con l'espansione di YouTube ci sono molte piattaforme per i produttori indipendenti per mostrare e proporre le proprie produzioni. C'è un'espansione dell'industria della produzione video. Le cose che una volta venivano fatte in squadra, ora vengono fatte dagli individui".
proseguendo il discorso, si capisce che la visione non riguarda solo la ripresa, ma anche la fase di post produzione, che sempre più farà uso dell’intelligenza artificiale, e anche qui riportiamo una frase:
" […] crediamo che l'uso dell'intelligenza artificiale nell'editing renderà il lavoro più efficiente. In termini di flusso di lavoro complessivo, i creatori che lavorano da soli trascorrono molto tempo nell'editing e, se potessero modificare automaticamente a proprio piacimento ogni dettaglio con un solo tocco, penso che saranno in grado di produrre contenuti sempre più attraenti, il che amplierà le loro opportunità. "
Questi pensieri, che condividiamo totalmente, portano ad una visione che ovviamente è già evidente, ma che forse è diventata tale per comprimere i costi e non per “scelta”: i creator, fotografi, videomaker, o più in modo allargato e moderno i “content creator”, sono sempre più soli. La tecnologia, la rapidità di produzione, il fatto che bisogna essere sempre “live” porta al fatto che quello che una volta si produceva insieme ad un team (spesso, si diceva che per fare un film serve un “esercito”), condividendo idee, opinioni, variazioni proprio insieme a questo team, sul campo, ora sempre più si realizza individualmente. Inoltre, il periodo del lockdown ha dato il colpo finale a questo fenomeno: l’impossibilità di poter lavorare a stretto contatto con gli altri nel periodo Covid ha accelerato la produzione in solitudine.
In questi ultimi mesi, la nostra percezione dell’evoluzione del mestiere e del settore dell’immagine ci sta portando sempre di più a riconsiderare molti aspetti, che mettono in evidenza che sempre più l’intelligenza artificiale ci toglierà l’esigenza di creare, in termini esecutivi e produttivi, e sempre più, invece, ci chiederà di pensare, visto che i mezzi per “eseguire” sono e saranno sempre più raffinati, quello che distinguerà un professionista dall’altro non sarà più - o sarà sempre meno - il risultato finale, bensì il processo e le motivazioni per creare qualcosa.
Dove andiamo quindi? Verso un futuro che renderà inutile o secondario il lato esecutivo? Si tratta di un processo lento, ma si: è proprio così. Abbiamo bisogno di investire meno in mezzi per “produrre” e più per “pensare”, e se la produzione diventa sempre più fatta individualmente, sempre con meno persone “attorno”, sempre più legata a soluzioni che renderanno ottimi i risultati purché siano ottimi gli ingredienti di base (i pensieri), dove l’intelligenza artificiale interverrà correggendo errori, agendo in profondità per raggiungere un risultato sempre più preciso e perfetto, anche in quei dettagli che venivano tralasciati perché era troppo impegnativo migliorare, dispendioso di tempo e di soldi, allora è ovvio che avremo sempre più prodotti “perfetti”, indistinguibili tra di loro, sia come “firma autoriale” o professionale, sia come esecuzione tecnica, ma la differenza arriverà dal pensiero, dalla visione, dal messaggio, e questo sarà il metro di valutazione, di successo, di differenziazione, al quale dovremo dedicare tutte le risorse possibili, e dove probabilmente l’individualità sarà un limite.
Se saranno i singoli individui, solitari, a produrre, fino al punto in cui potranno (possono) essere addirittura sostituiti da macchine, allora forse quello che serve è lavorare non da soli in fase di progettazione. Serve il confronto, la discussione, le diverse prospettive, addirittura i contrasti che gli algoritmi tendono invece ad eliminare per farci arrivare solo pareri che sono coerenti con la nostra (limitata) visione, e non è un caso che stanno proliferando sistemi e soluzioni per poter condividere idee a distanza, perché “insieme” abbiamo imparato che non è qualcosa che inevitabilmente deve essere connesso allo stesso spazio, alla stessa stanza, allo stesso tavolo. Pensiamo a FigJam, a Freeform, ma anche alle board su Pinterest, o a soluzioni di condivisione di spazi di immagini (private o pubbliche) come l’ottimo Playbook. Ma le connessioni via cloud ci offriranno sempre di più, le tecnologie anche, la mente è quella che invece fa più fatica, da sola e in solitudine, a riconoscere un nuovo cammino da percorrere, dove fare meno e pensare di più, insieme agli altri, e di conseguenza la complessità di trovare le persone giuste, quelle che non solo “assomigliano” a noi e condividono la nostra stessa visione, ma anche quelli che sono al nostro opposto, dove però è forte il desiderio, la volontà e l’interesse a “pensare insieme”, sarà la chiave di una sfida che non è solo umana, non è solo da orientare nella formazione, ma che abbraccia l’umanità nel suo complesso.
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