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Possiamo licenziarci e cambiare vita?
E' il tema del momento: moltissime persone, anche a causa del periodo complesso (Covid, lockdown, guerra), hanno pensato di cambiare vita, di trovare alternative. Ma se siamo liberi professionisti?
Photo by Egor Vikhrev on Unsplash
Si parla moltissimo di Great Resignation, ovvero la tendenza di tantissimi, in tutto il mondo, a “dare le dimissioni”, per cercare nuove strade e un nuovo approccio alla vita, più consono alle proprie aspirazioni e aspettative. Il senso di tutto questo è influenzato da questi due anni che davvero hanno sconvolto la nostra esistenza: il Covid-19, la mancanza di libertà causata dai vari lockdown, l’impossibilità di vivere le relazioni umane e fare affidamento sulle valvole di sfogo che ci hanno sempre dato la possibilità di accettare anche compromessi e difficoltà: uscire a cena, andare allo stadio, in discoteca, ad un concerto, in palestra… E ora la guerra, terribile sempre e terribilmente vicina, che ci fa capire quanto sia fragile tutto quello che abbiamo conquistato e che abbiamo reputato “normale”.
Dopo aver passato tanto tempo a pensare, a riflettere, a ragionare sul “senso della vita”, molte persone sono arrivate alla conclusione che forse il metodo con cui la si affronta è sbagliato, o quantomeno non giusto. Molti lavorano, principalmente per garantire a se stessi, alla propria famiglia e ai propri figli la sopravvivenza o una “buona vita”, ma se poi gran parte di questa vita viene occupata da un lavoro che non ci offre soddisfazioni, che ci toglie energie e che ci fa stare male… allora le sicurezze che ci offre sono sufficienti? Molti stanno pensando che queste sicurezze non bastano, e pur accettandone i rischi, decidono di lasciare il posto di lavoro, per tentare (o per trovare) delle alternative.
Oggi, forse, l’apertura del mondo - grazie alla globalizzazione, all’informazione condivisa, alle possibilità che proprio le crisi degli ultimi due anni ci hanno permesso (lavoro a distanza, smart working, eccetera) - è più facile. Questa scelta personalmente l’ho vissuta sulla mia pelle, ma non per mia scelta: i miei genitori, alla fine degli anni ‘70, hanno preso una decisione simile, non a causa di un virus, non di una guerra, ma per il malessere che si viveva in Italia in quel periodo, e hanno deciso di cambiare quel percorso già impostato e stabile di vita, andando a trasferirsi, con tutta la famiglia, quindi con i due figli, in Brasile. Mi sono sempre domandato quanto coraggio ci voglia, non a diciotto o venti anni, ma a oltre 40 anni, con un lavoro stabile e una vita ben definita, per riuscire a cambiare tutto; al tempo stesso, la situazione era un po’ alleggerita dal fatto che non si sono “buttati nel vuoto”, ma hanno rapidamente, una volta fatta a parole questa scelta, cercato e trovato un lavoro in Brasile. La loro fortuna è stata trovarlo facilmente e quindi tutto il resto si è rapidamente mosso.
Oggi, il pensiero verso i cambiamenti lo rivolgiamo a chi non ha però la possibilità di “licenziarsi”, perché parliamo a persone - la gran parte che ci legge - che svolgono una attività libero professionale, hanno fatto gli imprenditori su se stessi, e non hanno modo di “licenziarsi”. E’ un tema complesso, molto più complesso, perché entrano in gioco delle questioni che riguardano la persona, nel suo intimo più profondo, che magari ha scelto questo lavoro per amore, per passione, per “missione”. Prendiamo il mestiere del “fotografo”, visto che gran parte dei nostri lettori sono legati a questo mondo. Ci si può licenziare dall’essere fotografi? Ecco, forse col cuore no (qualcuno potrebbe dire che si è “fotografi per sempre”, diverso pensare che lo stesso tipo di approccio emozionale possa essere pensato da un idraulico, da un tassista, da un imbianchino: i mestieri creativi sono un modo di vivere, più che un modo per vivere). Forse non si riesce, eppure se dobbiamo ben guardare, il mestiere del fotografo è così cambiato (per non dire sparito in molte aree e specializzazioni) negli anni che oggettivamente andrebbe valutato se davvero quello che si sta facendo adesso corrisponde a quello che “si voleva fare” quando si è fatta questa scelta, quasi sempre di “pancia”.
Siamo abbastanza convinti che in molti che ci stanno leggendo questa valutazione l’hanno fatta o considerata, ma continuano a svolgere il proprio stesso lavoro semplicemente perché non è facile cambiare (cambiare non è mai facile), ma anche perché non saprebbero cosa fare. Una persona che lavora da 10 anni in banca, magari a fronte di questo trend di Great Resignation potrebbe pensare di raccogliere la propria liquidazione e aprire un piccolo chiosco sulle spiagge delle Galapagos per vendere noci di cocco; è probabile che un fotografo penserebbe più di andare alle stesse Galapagos… a fare fotografie dei turisti.
Insomma, è difficile, quando si ha un mestiere che si ama, percepire concretamente l’esigenza di abbandonarlo e di cambiare completamente il proprio modo di vivere. Questo è un grande punto di vantaggio, rispetto a chi magari fa un lavoro senza amarlo e senza viverlo come “una scelta importante”, ma al tempo stesso è anche una complicazione, perché non si sa come cambiare, e forse questo cambiamento è ancora più necessario, perché il malessere è tanto più forte quanto più questo malessere intacca qualcosa a cui siamo molto attaccati, dal punto di vista emotivo.
Per questo ci domandiamo, ancora una volta: come si può fare a “licenziarsi” da qualcosa che abbiamo amato e che magari ora non è più “quello che amavamo”? Qual è il metodo per provare a valutare questa possibile opzione radicale, di un abbandono che ci allontana da un lato importante per noi? La tecnica, dicono gli esperti, è quella di iniziare a scrivere, indicando (meglio su un foglio di carta) quali sono i motivi che ci tengono legati a qualcosa, e quelli che invece non ci vanno bene. Mettere nero su bianco la sintesi di pensieri che viaggiano nella mente creando disturbo e togliendo nitidezza aiuta a capire se i punti negativi sono oggettivamente superiori e più forti rispetto a quelli positivi e quindi si può costruire un percorso di sostituzione e di cambiamento, oppure se, alla fine, i vantaggi di quello che è il nostro territorio di lavoro attuale ha più valori e più importanza rispetto a quello che invece ci crea sconforto, fragilità, e tristezza. Si può anche provare a inserire, in un’altra colonna o pagina, quello che potremmo fare, in sostituzione: di fatto, un lavoro creativo offre l’opportunità di trovare nuove strade per rimettere in pista - con una visione e con un approccio nuovo o diverso - le nostre competenze e la nostra esperienza.
Una tecnica che amiamo molto è quella dell’unire i “puntini”: provate su una pagina a inserire in ordine sparso temi, passioni, argomenti, competenze che escono da quella primaria che è “il vostro lavoro”, e provate a vedere se unendo alcuni di questi punti si possono creare delle alternative globali che semplicemente sono la somma di aree che per voi sono importanti, o dove avete delle skills significative (o delle passioni forti). Spesso questo esercizio è incredibilmente potente, al sottoscritto ha permesso negli anni di unire lo scrivere (che amavo da sempre) con la fotografia (che amavo da sempre), diventando un giornalista nel settore della fotografia, e poi ho aggiunto un puntino che riguardava l’innovazione, diventando un giornalista che parlava di fotografia “innovativa” (digitale, all’epoca). Poi a tutto questo si è unito un puntino che era quello delle riviste e della grafica, diventando a quel punto una persona che si occupava di editoria legata all’immagine (e non solo alla fotografia), unendo contenuti scritti, immagini e la confezione della rivista stessa (grafica), per poi unire un ultimo tassello che è stato quello di “Insegnare” queste cose a persone che vogliono entrare in questi mondi. Detto così, è molto semplice ed ovvio, ma non lo è mai se non ci fermiamo per mettere nero su bianco i motivi, i punti positivi e negativi, il cercare di unire i punti.
Non vi diciamo questo per “licenziarvi” da fotografi (o da altro), magari invece per cercare di trovare nuove energie di cambiamento che portano ad affrontare questo mondo che cambia dimostrando, prima di tutto a noi stessi, che siamo in grado di cambiare, e che siamo pronti a farlo. I cambiamenti a volte non sono enormi, a volte è uno spostamento di una casellina di una scacchiera, ma che ci può portare dalla sicura perdita al vincere per scacco matto. Prendete questa matita, questo foglio di carta, e con serenità domandatevi di cosa davvero avete bisogno, anche per magari arrivare alla conclusione che va tutto bene, che va bene così - arrivando ad accettare la situazione con maggiore serenità. Oppure vi darà più forza per fare questo salto in avanti: fateci sapere che ne pensate ;-)
Prima però di pensare “al vostro futuro, pensate un secondo alle persone che, in questo momento, non sanno nemmeno se lo avranno un futuro, e se potete fate una piccola donazione per chi, in Ucraina, sta soffrendo e ha bisogno dell’aiuto, anche piccolo, di tutti noi. Grazie ❤️