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Quando cambiare è un fatto di velocità (e di allenamento)
La società, l'innovazione, il mercato ci chiede di reagire al cambiamento sempre con velocità, non per seguire qualsiasi trend, ma per allenarsi a comprendere in tempi rapidi da che parte stare.
Photo by Christian Lue on Unsplash
Spoiler: prendiamo come tema iniziale una rivoluzione nel settore delle fotocamere, ma in realtà è solo un esempio per arrivare a parlare di come dobbiamo affrontare i ritmi dei cambiamenti, e questo riguarda proprio tutti, in questa Era. E finiamo col parlare di Puffi… già, chi segue il SundayJumper sa bene che ci piace spaziare con il pensiero libero ;-)
Da qualche giorno, una notizia per certi versi prevista, segnala che uno dei sistemi più prestigiosi nel mondo della fotografia, è passato velocemente ad una fase di smantellamento. Beninteso, non si tratta dell’ennesima brutta notizia di un mercato che sta scomparendo, ma di un vero e proprio cambiamento, e da sempre all’interno di questo spazio di informazione, il cambiamento è visto sempre con grande positività. Si tratta del sistema delle DSLR di Canon, le “reflex” che non solo sono arrivate - almeno nelle loro versioni top di gamma - al capolinea, e non si tratta di una voce di corridoio, ma di una dichiarazione del CEO di Canon, Fujio Mitarai:
Il modello di punta delle reflex Canon è noto come la serie EOS-1, la prima delle quali è apparsa nel 1989. L'ultimo modello, EOS-1D X Mark III, rilasciato nel 2020, sarà infatti l'ultimo modello.
Le esigenze del mercato si stanno spostando sempre più rapidamente verso le fotocamere mirrorless.
Questo però non è il punto: immaginiamo che lo sviluppo delle reflex inferiori, consumer e semi pro, potrà avere ancora un mercato e quindi ancora dei prodotti che usciranno nei prossimi (2-3 anni?), e probabilmente rappresenteranno un po’ quelle che sono state le compatte degli anni passati: apparecchi anche di buona qualità, ma per utenti con minori pretese, e ovviamente - potendo sfruttare investimenti tecnologici già assorbiti ampiamente - costi più contenuti. La notizia non ci ha quindi particolamemente incuriosito, ancor meno preoccupati, mentre la forte riduzione della disponibilità di ottiche di fascia alta (le “prime lenses”, quindi le ottiche a focale fissa), già percepita ad aprile dello scorso anno, ora diventa sempre più evidente con la “scomparsa” dai radar quantomeno in Giappone, di ben 9 ottiche dal sistema Canon EOS EF.
Anche su questa notizia, c’è poco da commentare, è evidente e lo abbiamo scritto già da diversi anni, e ribadito con ritmo martellante tutte le volte che in questo spazio abbiamo parlato di “macchine”, (che è raro, vero, ma capita) che le mirrorless sono ormai una realtà che sta fagocitando l’intero mercato. Alle reflex rimane attaccato un pubblico che per motivi di abitudine, tradizione, avversione all’eccessiva “digitalizzazione” degli strumenti di ripresa o - ma sono davvero poche - esigenze specialistiche (spesso derivate da sensazioni percepite provando delle mirrorless di 3-5 anni fa, non le ultime versioni), ancora non vuole o mai farà il passo di cambiamento. Senza considerare che, per molti, non c’è in programma un acquisto di una nuova fotocamera, e qualora si rendesse necessaria una sostituzione, ovviamente e giustamente spaventa un cambiamento di un intero sistema di ottiche sul quale si è investito negli anni, diverso da chi parte ora, perché iniziare ad investire su un sistema che non ha futuro non è una buona idea.
No, non stiamo parlando di mercato delle fotocamere, ma di qualcosa di più profondo: qui, davvero, non parliamo di argomenti per “agevolare la vendita” di apparecchi fotografici, tutt’altro. Ci siamo soffermati sul termine stesso di “mirrorless”, che ci aiuta a valutare quanto il cercare di definire il “nuovo” come un nuovo modo di intendere il “vecchio” sia una delle forme più pericolose di evoluzione, perché ci fa pensare ad un percorso lento e stabile: non è cosi, e lo è sempre meno. Il mercato delle mirrorless è esploso con tutta la sua forza, in poco tempo, ed in particolare quando i due grandi difensori delle reflex - Canon e Nikon - sono entrate in questa competizione, e ora è evidente che tutte le fotocamere saranno mirrorless nei giro di poco, ad esclusione di quelle Case come Pentax che hanno, per motivi evidenti di mercato, trasformato questa scelta di “continuare a produrre solo reflex” una filosofia di brand. Guardate due step di evoluzione che sono state vissute dalla fotografia in questo ventennio:
Nel 2004 usci la Nikon F6, ultima nata della gloriosa generazione di fotocamere professionali nata con l’eccezionale Nikon F, diventata poi inevitabilmente F2, F3… e così via. Quando è stata presentata, accanto a questa stirpe regale della fotografia analogica (con pellicola) era già nata la versione “digitale”, denominata con la lettera D; il modello D1 è nato nel 1999, ma la fine della F6, ultima fotocamera della casa ad usare la pellicola, è arrivata solo nel 2020. Insomma, complice anche ovviamente il fatto che le due linee di fotocamere usavano le stesse ottiche, all’epoca, in una Era ben diversa da quella attuale, questa convivenza e questo percorso di evoluzione/sostituzione è durato quasi 20 anni.
Passiamo al secondo “scossone”: la prima Canon mirrorless che si è proposta come alternativa ad una reflex in campo professionale è il modello Canon EOS R, prima ad adottare il nuovo attacco RF, ed è uscita nell'ottobre 2018. In meno di due anni questo sistema ha di fatto preso il posto delle reflex di fascia alta della stessa azienda. Due anni… è evidente che il mercato corre veloce, e non certo perché si tratta di un successo incontenibile, ma per qualcosa che è fondamentale nella produzione industriale, sempre di più: l’ottimizzazione della logistica, del ridurre il costo dei prodotti a magazzino, del tempo in cui un prodotto rimane “fermo” prima di essere venduto. Il sistema mirrorless di Canon (e, ce lo aspettiamo, anche da Nikon) non è arrivato per affiancarsi, ma per chiudere definitivamente con un’era di prodotti troppo “tiepidi”, per un paio di anni si è fatto finta di dare una opzione di scelta al mercato, ma il giorno che è uscita la prima “vera mirrorless” di Canon, la decisione di chiudere con le reflex era evidente.
La questione è quindi quella di prepararci alla velocizzazione dei cambiamenti, anche accettando che i termini che si usano diventano fin troppo vecchi in poco tempo. Perché parlare di “mirrorless” quando la sua definizione indica una “differenza” rispetto a qualcosa che già adesso non ha più un senso: semmai sono le reflex che possono differenziarsi indicando che sono “Mirror”, le altre sono “quelle normali”, non viceversa. E’ come definire oggi “digitale” una immagine: tutte lo sono, ad esclusione delle poche, esclusive e quasi uniche che rimangono “analogiche”.
Non è solo questione di lessico, sono esempi che ci servono per capire che siamo in un’era dove le evoluzioni e le rivoluzioni non si materializzano e prendono spazio in decenni, ma in pochi anni. Dobbiamo accettare ad essere individui che devono adattarsi, essere mobili, cambiare opinione velocemente, o quantomeno allenarsi al cambiamento repentino: la pandemia ci ha insegnato molto bene quanto possano essere immediati e radicali i cambiamenti. Se escludiamo (speriamo) le questioni sanitarie, abbiamo di fronte delle evoluzioni che sembrano essere delle “baggianate” che fanno ridere, c’è ancora chi non prende seriamente la questione della realtà aumentata (qualche giorno fa è stata scoperta nel codice di log di Apple Store una stringa che parla di RealityOS, a dimostrazione che i famosi occhiali “smart” sono alle porte, probabilmente almeno come piattaforma software si immagina che arriveranno a giugno di quest’anno, magari i visori verso autunno), per non parlare di quello che è il tanto chiacchierato metaverso. E’ prematuro parlarne, anche solo ipotizzarlo, ma dobbiamo capire che, in realtà, noi nel metaverso ci siamo già dentro: al mattino ci svegliamo e ci immergiamo nello schermo dello smartphone, poi passiamo al computer, al tablet, presto il “metaverso” ci raggiungerà con i già citati smart glasses, quando siamo in giro anche se non siamo davanti ad uno schermo per evitare di andare contro i pali già da tempo siamo connessi con auricolari, che sono protesi che indossiamo, che ci propongono contenuti audio e che ci propongono interazioni (dai messaggi vocali ai podcast alle stanze di Clubhouse), e poi il nostro corpo viene monitorato e connesso al mondo digitale grazie agli orologi smart, che diventano anche il nostro portafoglio per pagare per via elettronica tutto, anche il pane (chi usa ancora monete o banconote?).
Non ce l’hanno ancora detto, ma nel metaverso ci siamo già dentro, con i piedi, gli occhi, le orecchie, il corpo. Questa mattina abbiamo avuto una sensazione che ci ha fatto sorridere, perché ci è sembrato che fosse un passo “ufficiale”, molto “serioso”, e addirittura “istituzionale” che ci ha avvicinato ad un passaporto per il metaverso, dove possiamo interagire con mondi disegnati, virtuali, frutto della fantasia. Ma non è arrivato da una società che si occupa di mondi virtuali, di tecnologia, non è una idea di Meta, di Google, di Amazon o di Apple… è il nuovo passaporto del Belgio presentato il 27 gennaio da Sophie Wilmès, vice Primo Ministro e ministro degli Affari Esteri, che ha la caratteristica di proporre sulle pagine dei disegni che non sono propriamente facili da immaginare all’interno di un documento così serio (e per un Paese così serio): sono i Puffi, Tintin, compreso il suo cane Snowy e dal Capitano Haddock e altri personaggi creati da grandi artisti belgi. Alcuni di questi disegni si possono ammirare ad occhio nudo, ma altri appaiono solo con luci UV che vengono usate per il controllo anti contraffazione. Qui sotto, trovate il video presentato ufficialmente dal Ministero degli Affari Esteri Belga (quanto siamo lontani, noi italiani che amiamo definirci come i tenutari della creatività?)
E’ una trovata originale, interessante, fuori dagli schemi che però ci ha fatto immaginare un futuro di accesso in mondi fantastici, un po’ come Gardaland o Cartoonia (il mondo di Roger Rabbit), che è appunto molto più vicino di quello che immaginiamo. Prepariamo i bagagli (e cerchiamo di capire come sarà la nostra vita e il nostro lavoro in questo futuro che arriva veloce).