

Scopra di più da Sunday Jumper
Quando i giornali smettono di fare il mestiere più bello del mondo
La storia triste che voleva motivare e confermare che nel mondo dell'informazione si può ancora vincere con qualità, con storie lunghe e affascinanti, curando ogni dettaglio. E invece...
Photo by Kat J on Unsplash
Oggi volevamo raccontare una storia felice, per enfatizzare la confermata necessità del raccontare “storie” andando in profondità, cercando di motivare con i fatti che, in un’era di velocità e superficialità, l’unica strada possibile per trovare uno spazio vero e concreto nel mondo dell’informazione (sia questa fatta di parole o di immagini) deve essere quella di non accontentarsi di un semplice assaggio, di non far tutto per avere un banale “like”, ma costruire qualcosa che aiuti una riflessione, che possa offrire una sfaccettatura nuova o più attenta. E’ diventata, invece, una storia triste.
L’informazione, le storie: ormai sono solo dei “morsi” che si devono inghiottire veloci, strutturati per far contenti gli algoritmi dei social, quelli che promettono tanto (successo, soldi, visibilità) senza mantenere queste promesse, come dei politici in periodo di elezioni, perché non richiedono la qualità di quello che viene proposto, bensì lo sfruttare il trend del momento, l’incitazione e gli slogan per accaparrarsi le masse, le immagini che generano sguaiatezza (e che rendere visibili richiede soldi, tanti soldi). Eppure, oggi abbiamo inseguito la possibilità di mostrare come - anche in Italia, perché all’estero questo è abbastanza chiaro - si possa fare un’informazione di qualità, curata nei minimi dettagli, dove ogni ingrediente di questa informazione - i titoli, le parole, le immagini, i video, l’audio - si esprime al meglio, con tutta la sua singola potenzialità in una narrazione che può essere lunga, immersiva, che si esprime in un percorso che può durare minuti, molti minuti, che magari si ha voglia anche di rileggere e di condividere con altre persone.
Invece no: ieri, comprando La Repubblica (per acquistare l’ultimo numero di D, il settimanale che no - malgrado una decisamente maldestra copertina con la sola scritta “GooDbye”, che a tutti fa pensare solo ad una chiusura, chissà chi ha avuto questa infelice e infausta idea - non chiude, ma cambia settimana prossima), abbiamo visto che oggi, domenica, ci sarebbe stato un longform, ovvero un contenuto editoriale “lungo e approfondito”, sulla situazione Russia-Ucraina. La promessa, sul giornale di ieri, era quindi interessante, qui la foto che lo dimostra:
Forse non tutti sanno che Emmanuel Carrére è un famoso scrittore, e che quindi forse il “fotoreportage” sarebbe stato realizzato da altri (che, evidentemente non si meritano la citazione in un articolo così corto), ma in ogni caso ci si attenderebbe un racconto che possa garantire almeno pari valore a parole e immagini. In verità, queste “sedici pagine”, sono occupate dal racconto (ovviamente ben scritto e intenso) di Carrére, che tra l’altro non è uno scoop de LaRepubblica, ma è la traduzione di quanto uscito il 9 marzo (a 4 giorni di distanza, in un evento urgente come questo forse sono tanti) sul francese OBS (il link che vi proponiamo è una pagina sotto abbonamento, ci siamo abbonati appositamente per poterlo studiare ed approfondire, perché non ci piace parlare solo “per sentito dire”). Le altre pagine di questo sedicesimo sulla carta sono dei fotoreportage realizzati da tre importanti fotografi, il fotoreporter spagnolo vincitore di un Premio Pulitzer che lavora per AP Emilio Morenatti, la fotografa americana Lynsev Addario, anche lei premiata con un Pulitzer e che lavora con il New York Times, National Geographic e Time Magazine, e l’italiano Fabio Bucciarelli, uno dei fotogiornalisti che più apprezziamo, anche scrittore, vincitore di tanti premi, anche di un World Press Photo e che, in questo longform, viene introdotto con una frase che, secondo noi, è stata decontestualizzata e che non rende giustizia di sicuro alla sua sensibilità e capacità di raccontare specialmente i conflitti umani, che lo ha sempre contraddistinto. Questa è la frase con la quale viene introdotto il suo lavoro:
«La foto che vorrei fare? No, guarda, io sono qui solo per lavorare. L'unica cosa che desidero è poter tornare presto a casa da mia figlia, che ha appena cinque mesi. Perché se vado via vuol dire che la guerra è finita, e questo sì che sarebbe un sogno».
Siamo sicuri che Fabio - come qualsiasi papà - vorrebbe essere a casa dalla sua bambina di 5 mesi, e anche che si augura, come tutti, che possa finire questo suo lavoro perché vorrebbe dire che “la guerra è finita”, ma siamo sicuri che, al tempo stesso, questo grande fotoreporter non è lì come se fosse un impiegato del catasto a “fare il suo lavoro”, con il tono che questa presentazione sembra voler far apparire. L’abitudine di scrivere frasi ad effetto a volte dovrebbe lasciare spazio al rispetto: per chi si sta descrivendo e per i lettori, che meritano - specialmente se non conoscono chi sono gli autori di queste immagini - di avere una presentazione più adeguata.
Ma andiamo avanti: è ovvio che la stampa su carta di giornale è di bassa qualità (l’OBS le ha pubblicate sulla sua rivista patinata, altra resa), ma anche l’impaginazione non rispetta con eleganza o forza la narrazione intensa di queste fotografie, anche in questo caso vorremmo vedere maggiore cura quando si trattano immagini che non vogliono essere dimenticate, scrollate in un feed da social, ma tutto questo è secondario, se si prende in considerazione che nella parte dedicata al racconto di Carrére le immagini non hanno alcun credito (dal sito di OBS invece abbiamo estrapolato che sono di Hannah Goldman per « L’OBS »), una mancanza già grave in generale, ancor di più per un contenuto che si dichiara essere un fotoreportage.
Ma la “ciliegina sulla torta” arriva dalla versione digitale, quella che può “dare di più”, in termini di multimedialità e di innovazione, e arriva la bella notizia: il giornale acquistato in edicola consente, per 24 ore, di visualizzare la “versione multimediale” di questo articolo… wow, che bella ed intelligente questa integrazione tra carta e digitale, che offre un motivo per l’acquirente della copia cartacea di scoprire nuove sfaccettature, e magari lo porta ad abbonarsi; ecco il QR Code e la proposta (abbiamo cancellato il codice di accesso che offriva questa opzione) e abbiamo fatto tutto giusto… (la storia prosegue sotto la foto)
Bene, questa attivazione non ha funzionato, magari un problema temporaneo, ma la pagina non si trovava (abbiamo gli screenshot di tutto ma non vogliamo tediarvi con i dettagli), ma non ci siamo fatti prendere dallo sconforto: volevamo vedere “la versione multimediale dell’articolo” e non erano certo i soldi di un abbonamento che ci avrebbero fermato, quindi ci siamo iscritti ad una settimana (chissà, se avessimo percepito una buona qualità generale, avremmo potuto anche proseguire con l’abbonamento per tutto l’anno, paghiamo già un sacco di abbonamenti di informazione, non ne siamo spaventati). Quindi siamo andati sull’iPad e abbiamo visto che il costo di una settimana era di 4.99 euro, e qualcosa ci è sembrato strano, siamo tornati sul sito che offre lo stesso prodotto a 3.99 euro… come mai? Beh, noi che ci occupiamo di digitale crediamo di sapere la risposta: l’acquisto di un abbonamento via App porta al venditore al vedersi trattenere il 30% da parte dello store digitale, quindi evidentemente hanno deciso di “spingere” per la versione fuori dallo store. Malgrado questo, abbiamo comunque pagato da iPad perché in passato l’abitudine di molti servizi di informazione italiani è quella di rendere molto complessa la cancellazione dal sito (dall’app invece è tutto molto trasparente e semplice) e non volevo arrabbiarmi, quindi ho preferito pagare un euro in più. Sono entrato nell’area Edicola dell’app dove ho trovato il giornale che avevo già acquistato in versione cartacea e ho trovato il link per “la versione multimediale” on line… peccato che, pur avendo pagato (maggiorato, causa sovrapprezzo App) il mio abbonamento settimanale non mi permetteva di accedere a questa pagina, e vi assicuro che le ho provate tutte… non funzionava…
La questione era diventata un fatto di principio: volevo vedere questo famigerato “articolo multimediale”, e quindi ho aggiunto al mio abbonamento ANCHE un abbonamento completo dal sito (non so se faceva parte dei miei diritti acquistando l’abbonamento dall’app, questi dettagli non sono chiari: ancora una volta un po’ di trasparenza e chiarezza sarebbe la benvenuta), e quindi ho acquistato un abbonamento dal sito, 1 euro al mese per 3 mesi, se poi devo perdere ore per annullarlo mi arrabbierò molto e magari lo scriverò qui in aggiornamento (stay tuned).
Finalmente (dopo avere speso 2 euro di giornale cartaceo, 4,99 euro di abbonamento digitale su App, e 1 euro al mese per tre mesi, quindi 3 euro, sostanzialmente una decina di euro)… ecco l’articolo multimediale, che di multimediale non ha nulla, semplicemente una pagina su fondo nero e scritte bianche con le stesse foto, molte delle quali con didascalia un po’ patetica che dice “Emmanuel Carrère nella metropolitana di Mosca” “Emmanuel Carrère nella stazione Kievscaya della metropolitana” come se fossero dei selfies, ma ancora una volta nessun riferimento alla fotografa, poverina, chissà perché?). L’ultima cosa “digitale” di questa versione “multimediale” è il responsive design (che adatta agli schermi il contenuto, ma nel 2022 non può esistere un sito che non abbia questa funzionalità) e delle ancore/sommari che permettono di andare alla parte dell’articolo di ogni capitolato (anche questo, molto basic). Vedete qui sotto la pagina iniziale, quella che possono vedere tutti accedendo al sito da qui, la versione “premium” non la mostro per correttezza.
La triste storia, che voleva portare una testimonianza di come si potrebbe lavorare con il contenuto, questo c’è eccome nel racconto di Carrére, ma non è stato gestito nel modo migliore dal punto di vista della forma, dell’attenzione per i dettagli, della massima cura per riuscire a raggiungere quel target di utenti che vogliono essere informati, che sono disposti a pagare per l’informazione, che amano le storie raccontate con parole profonde ed immagini spettacolari, quindi tutto si è trasformato in una triste cronistoria che ci porta a riflettere, specialmente quando leggiamo che l’editoria e l’informazione ha bisogno di essere sostenuta e pagata per offrire la massima qualità. Abbiamo pagato, anche oltre al dovuto (non in termini economici, ma come “doppio abbonamento”), abbiamo creduto nella qualità delle fonti, torniamo ad informarci da altre parti (che no, non sono Instagram o Facebook, ma il New York Times, dal quale magari si potrebbe imparare una lezione che poi porta a milioni di abbonamenti paganti, ma ovviamente non è solo il NYTimes che ha trovato come ricompensare chi crede in una informazione di qualità).
(fine della triste storia, nel caso di updates ci ritroviamo qui)