

Discover more from Sunday Jumper
Serve davvero un fotografo? (Lo chiedono i ragazzi della GenZ)
Titolo provocatorio, ma è una domanda che si fanno i giovani, a fronte dell'uscita di un'app AI per migliorare in modo impressionante selfies e ritratti. Parliamone, per trovare una soluzione insieme
In questi mesi la paura dell’AI ha condizionato molti: i professionisti dell’immagine, prima di tutto, ma anche i media e i politici (Biden sembra molto preoccupato in vista delle prossime elezioni politiche negli USA); tutti guardano con preoccupazione alle piattaforme generative che sembrano avere stravolto il presente e il futuro, moltissimi gridano da un lato per enfatizzare le questioni sui diritti di copyright, dall’altra per condividere la paura per le fake news che possono condizionare la nostra visione della realtà. È curioso che mentre tutti guardano ai “giganti” (Microsoft, Google, Open AI, Midjourney, eccetera), che sono chiamati a difendersi o a dover garantire “un futuro sostenibile”, i “topi” si muovono indisturbati, e possono condizionare molto, ma molto di più di quello che sembra in gioco: parliamo della mentalità dei giovani, di quella Generazione Z che sta prendendo il suo posto da protagonista nella società attuale, e che sempre più avrà peso nei prossimi anni. E sapete cosa si domandano quelli della GenZ? Del perché si debbano pagare dei fotografi professionisti per fare “immagini professionali”, come per esempio quelle che si usano per il profilo Linkedin, per inserirle in un CV, per mandarle come presentazione. Secondo questa intera generazione, sembra che no, non sia più necessario…
Perché viene fatta questa domanda, perché ora?
La risposta è semplice e netta: Perché sta spopolando sugli store on line (iOS e Google Play) l’app Remini che dopo essere uscita nel lontano 2019 per migliorare le immagini con qualche innovazione comunque interessante, ora ha integrato - strano, vero? - l’intelligenza artificiale per permettere di ottenere molteplici versioni (quasi infinite) di selfies e ritratti.
Per provarla, non avevamo nulla di meglio come soggetto per un test estemporaneo, quindi abbiamo usato dei nostri selfie fatti al volo, senza alcun controllo e senza alcuna qualità, scattati con una luce pessima… e abbiamo caricato le immagini su Remini, accettando di pagare “ben” 0.99 euro per la prima settimana di prova. In pochi minuti, ecco dei (alcuni) risultati:
Con un minimo di attenzione in più (pensate a quanti selfie hanno i nostri giovani, un rullino intero, un rullino da 128/256 Gb….) e un soggetto magari più fotogenico… i risultati sarebbero stati ancor più impressionanti.
Chiaro che, se analizziamo nel dettaglio, ci sono errori, di quelli che forse in uno scontorno fatto con Photoshop potrebbero forse essere migliorati (ad essere bravi), ma la varietà è davvero qualcosa sulla quale riflettere.
Ma concentriamoci un attimo su cosa c’è dentro il “cofano”, di questa applicazione, che sembra all’apparenza poco professionale (e lo è), ma che fa al tempo stesso riferimento alle tecnologie con le quali si producono oggi le immagini generate con AI, ci accorgiamo che è facile decodificare tecnicamente quello che questa app gestisce in termini di flusso pratico:
“Allena” con immagini che gli diamo in pasto (otto immagini del soggetto che intendiamo inserire ed interpretare nelle immagini che intendiamo generare). Questa è un’operazione che con le piattaforme basate su Stable Diffusion è possibile ottenere, con un lavoro preparatorio complesso e non certo facile, anche dal punto di vista pratico;
L’App lavora con un’operazione definita tecnicamente Inpainting, ovvero l’inserire in una porzione di immagine all’interno di un’immagine generata dall’AI, cosa appunto possibile con Stable Diffusion, Dall-E e anche con la versione di Photoshop Beta, che però al momento non può fare un Inpainting di una immagine non generata dall’intelligenza artificiale, e quindi al momento questo risultato della “mia” faccia non potrebbe essere ottenuto. Anche Midjourney sta per presentare uno strumento per inpainting sulla sua piattaforma, ne parleremo appena disponibile;
In seguito, l’utente può scegliere tramite quest’app una situazione per completare la sua immagine, di fatto sono dei prompt già definiti ed impostati, ma che sono analoghi a quelli che si potrebbero ottenere con delle stringhe di richiesta (prompt, appunto) su qualsiasi sistema di generazione di immagini AI.
Il risultato produce le immagini, diverse versioni per ogni richiesta (anche questo è consuetudine sulle piattaforme AI, la differenza è che in questo caso produce già delle alte risoluzioni, e non solo delle anteprime).
Come detto, ci sono molte variabili, anche fantasiose (e poco credibili, sinceramente), come le versioni da “bimbi” delle nostre facce, fatevi pure una risata con la versione di Luca-Bimbo…
Un po’ meno da ridere su, forse, questo ritratto:
non perfetto, ma interessante come risultato; abbiamo poi pensato che forse la maglietta bianca non era troppo “professionale” e i capelli tagliati nell’inquadratura non erano il massimo, quindi siamo entrati un attimo in Photoshop Beta e abbiamo aggiustato questi dettagli, con questo risultato:
Beh, adesso è l’immagine pubblicata all’interno del nostro profilo Linkedin…
Qual è la morale di tutto questo?
La morale è che in questo articolo parliamo di una soluzione “amatoriale”, che una fetta rilevante di pubblico considera “adeguata”, addirittura perfetta, che crea senza dubbio a sua volta un fenomeno di fake news che forse non è così “pericoloso” per le prossime elezioni USA (dove, forse, questo pericolo, tanto sbandierato dalla politica, sarebbe comunque arginabile, basterebbe adottare per informarsi fonti serie ed autorevoli - le fake news sono principalmente un problema causato da una mancanza di cultura nei confronti dei metodi di informazione, non in quanto tali), ma nel caso di Remini, di quest’app, si arriva a generare dei fake su “chi siamo”, sull’immagine pubblica di noi tutti, specialmente tra i giovani che hanno ora dei tool immensamente più potenti di Photoshop e delle app che hanno finora usato per presentarsi on line con un’immagine migliore (o meglio: più stereotipata) della reale, arrivando a rigettarla, tanta è l’abitudine dell’apparire per quello che non sono, e che poi ha già creato così tanti problemi psicologici e sociali, e che potrà sempre più rappresentare un problema generazionale. Di questo problema hanno scritto in un articolo che parla dell’app e delle sue conseguenze [LINK], ma ci sono addirittura situazioni peggiori: si usano tecnologie simili (le usano le persone “normali”, spesso impreparate a queste rivoluzioni) per mostrare e visualizzare come potranno essere - esteticamente - i bambini di una coppia. Si arriverà a decidere per un cambiamento di partner nel caso questo risultato visivo (ipotetico, inventato: questo sarà chiaro nella mente delle persone?) non dovesse corrispondere al desiderio? Se ne parla qui [LINK].
Ma c’è un altro aspetto, importantissimo, che riguarda i professionisti dell’immagine che ci leggono, ogni settimana: quello che riporta alla domanda che abbiamo segnalato all’inizio dell’articolo, ovvero se si riesce ad arginare la sensazione collettiva che per fare dei ritratti “perfetti”, non serva più la mano di un professionista, ma basterebbe un’app che utilizza l’AI. La risposta è in due elementi, che reputiamo fondamentali:
I professionisti devono fare e proporre DI PIÙ, rispetto al “trucco” e ai trucchi dell’AI: valore, emozioni, verità, e per riuscirci concretamente non è sufficiente dichiararlo a parole, va dimostrato nei fatti. Pensate ad un servizio di matrimonio: è già nata l’era dei matrimoni che useranno l’AI per mostrare una realtà molto diversa da quella effettivamente vissuta? Come i professionisti potranno integrare innovazione, effetto WOW, a reale, a storytelling, ad emozioni?
I professionisti che ora stiamo vedendo impegnati per cercare soluzioni AI complesse, macchinose, esoteriche, usando computer super costosi e performanti, forse dovrebbero capire che la professionalità in questa era dell’AI non si basa (e sempre meno si baserà) sull’usare strumenti complessi (quante volte si è caduti in questo errore?), ma puntando su soluzioni dalle interfacce semplici e più fluide, e dal separare la componente tecnica da quella espressiva (cosa si vuole dire, come lo si vuole dire), che sarà l’unica (davvero, lo ribadiamo: l’unica!) che lascerà spazio alla professionalità di quelli che riusciranno a metterla in luce e a farla percepire.
Ricordiamoci che la fantasia e la finzione vincono quasi sempre, in termini di impatto e di fascino, rispetto alla realtà “pura”. I professionisti dovranno essere in grado di raccontare storie che non devono essere legate necessariamente e solo alla riproduzione perfetta della “realtà”. Un errore che si fa nei confronti dell’AI è individuarne e additarne i limiti (che poi spariscono nel giro di pochi mesi, anche solo di giorni a volte, lasciando queste polemiche nel vuoto) rispetto alla “perfezione” della fotografia. Quando serve la perfezione e la verità, si userà la fotografia, da offrire a chi ne avrà bisogno e che sarà disposto a pagarla (anche in termini di complessità e di garanzie); caso contrario, con l’AI si possono e si potranno fare sempre più immagini nuove, incredibili, anche se chiaramente non corrispondenti alla verità.
Bene, siamo arrivati alla fine di questo anno, davvero incredibile, dove tutto è cambiato, e sappiamo che siamo solo all’inizio. Con questo numero, il Sunday Jumper va in vacanza, torniamo a settembre, ma non andiamo in vacanza noi, perché come abbiamo già detto diverse volte, stiamo completando gli ultimi dettagli per l’uscita di AiWay, la nostra rivista dedicata proprio a questi temi dell’AI, dal punto di vista della comprensione, della tecnica, della cultura, dove abbiamo occasione di un dialogo approfondito con bravissimi professionisti e artisti che hanno già abbracciato (o stanno abbracciando) questo mondo dell’AI, ma anche per parlare di criticità, di dubbi, di paure, di incertezze. Oggi, come mai, serve una guida per entrare in questo nuovo capitolo della professione, per tutti quelli che lavorano con l’immagine, e AiWay vuole essere proprio questo. Vi annunceremo quindi l’uscita della rivista e le modalità per entrare da subito, e dalla porta principale, in questo mondo, insieme a noi. Abbiamo non solo un nome della testata, ma anche uno slogan, che è un augurio, ma anche una missione, la nostra missione:
/imagine: human creativity
A presto, a prestissimo!