

Scopra di più da Sunday Jumper
Serve una scuola intelligente per continuare ad essere riferimento formativo nell'era dell'AI
La crescita delle piattaforme di AI generativa raggiunge il settore della scuola, con azioni che tentano di bloccare l'innovazione con un approccio medioevale. Il futuro chiede ben altro...
Immagine generata con Midjourney x SundayJumper
Una rivoluzione può arrivare silente, lenta anche se inesorabile, può infiltrarsi nella realtà quotidiana con apparente timidezza, può non essere percepita fino al momento in cui la sua massa critica fa comprendere che si è trasformata in una nuova “normalità”. Se ci guardiamo indietro, quasi tutte le rivoluzioni magari sono state anche discusse da subito negli ambienti specialistici, tra gli appassionati di innovazione, ma poi - guardando fuori dalla finestra di un micro cosmo che a volte viene confuso con il “tutto” - ci si accorgeva che, là fuori, tutto rimaneva fermo, immobile; che quelle innovazioni che dovevano spazzare via il “vecchio”, di fatto, erano difficili da applicare: la ritrosia verso il nuovo, la mancanza di cultura sull’innovazione, la burocrazia e le abitudini consolidate hanno portato e portano spesso a dire “abbiamo sempre fatto così, perché dovremmo cambiare?”.
Poi ci sono le rivoluzioni che arrivano e tramortiscono, che creano un solco che demarca un “prima” e un “dopo” che non può più fare i conti con le tradizioni e le abitudini del passato, perché il nuovo cambia i connotati della stessa realtà, e porta conseguenze devastanti, non tanto e non solo perché negative (spesso possono anche esserle), ma perché, di fatto, distruggono dalle fondamenta quello che abbiamo attorno a noi, e portano a dover costruire altre mura, altri spazi, altre sicurezze.
Questo 2022 che abbiamo appena abbandonato ci ha portato - almeno alla ribalta, nella sua concretezza pratica - una rivoluzione che pur è stata annunciata da anni, quella dell’intelligenza artificiale generativa. Ricordiamo di avere trattato il tema cinque anni fa, in un convegno, spiegando come il mestiere di chi produce immagine sempre più sarebbe stato immerso e condizionato da questa innovazione, ma ovviamente quella ricerca partiva da ben più lontano, e per una curiosa abitudine e approccio, i libri, gli articoli, i trattati e le discussioni vertevano già all’epoca, e prima ancora, su una domanda incalzante:
ma i computer ci ruberanno il lavoro?
Non siamo mai riusciti ad appassionarci - e ancor meno a preoccuparci - a questa discussione, che appariva, ai nostri occhi, sterile: se le macchine avessero raggiunto il livello degli umani in uno specifico campo, sarebbe arrivato il momento di fare qualcos’altro e avremmo dovuto usare questi tool innovativi per fare di meglio. Però forse noi ci siamo allenati, in tanti anni, a guardare senza preoccupazione ai nuovi orizzonti, anzi: abbiamo cercato di comprenderli e di raccontarli prima degli altri.
Sono mesi che lavoriamo attorno al tema dell’AI, sia nel campo dell’immagine, sia in quello della comunicazione in generale, e crediamo di avere inquadrato adeguatamente questa rivoluzione, e i nostri computer sono ormai pieni di un archivio quasi immenso di materiale organizzato sul tema, osservato ed analizzato a 360 gradi; è chiaro, nella nostra testa, che diventerà qualcosa, questo studio e questa ricerca, ma per la semplice normalità che ci riguarda da sempre: quello che studiamo ci serve ad aiutare coloro che ne sentono il bisogno, per crescere, evolversi, o perché sono in fase di “lancio” verso il futuro. Il nostro studio ha una missione, quella di un mix tra informazione e formazione che ha definito il nostro mestiere, ormai da tanti anni.
C’è tanto da dire, ma in questa sede vogliamo concentrarci sulla formazione, che è un tema che ci sta molto a cuore: una delle attività centrali per noi è quella di prendere per mano dei giovani e almeno provare a dar loro una visione per affrontare il futuro, nelle classi che gestiamo in qualità di docenti universitari, gremite di studenti che vogliono entrare dalla porta principale nel mondo dell’immagine e della comunicazione, e che si trovano oggi - non domani, oggi - a rivedere il proprio modo di affrontare questo mestiere da un’altra prospettiva. E la paura non è tanto per loro, che probabilmente hanno orecchie affinate, istinto che li porta naturalmente verso il futuro… la preoccupazione è cosa diremo a loro, in qualità di formatori, come indicheremo la strada giusta (o, almeno, quella più promettente, nessuno ha una sfera di cristallo), come potremo spingere l’attenzione e gli sforzi verso quello che, effettivamente, conterà oggi (e che, già oggi, conta). E lo stesso vale anche se chi ci legge non è un docente, un professore, un maestro, perché tutti, nella vita, hanno spesso un ruolo che porta ad orientare gli altri, i più giovani: si può essere genitore, si può essere collega, si può essere imprenditore di una start up; quasi tutti abbiamo e svolgiamo questo compito, e dovremmo farlo con grande sensibilità e attenzione, proprio perché la rivoluzione è già scoppiata, e nulla è più quello che era, finora.
Questo pensiero ci viene dalla lettura di un articolo pubblicato pochi giorni fa che segnala che il dipartimento dell'istruzione di New York ha bloccato ChatGPT sui dispositivi e all’intero delle reti scolastiche. Non parliamo di una scuola di un paesino disperso nelle zone rurali della nostra fin troppo tradizionale Italia, stiamo parlando del centro dell’innovazione del mondo. Per chi si sia perso qualche puntata, ChatGPT è una piattaforma che consente di essere interrogata per creare testi che rispondono ad una specifica esigenza, come per esempio:
Mi fai un riassunto di questo trattato che parla di crisi climatica che possa mettere in evidenza i punti fondamentali da inserire all’interno di una tesi per il mio esame?
Ma ChatGPT può fare molto di più, immensamente di più e si propone per risolvere quesiti, analizzare contenuti scritti, redigere articoli, post per i social, addirittura scrivere sceneggiature, può generare righe di codice informatico… tutto questo semplicemente scrivendo la richiesta, e usandolo con la stessa metodologia di una chat, che risponde come se, dall’altra parte, ci fosse il maggiore esperto al mondo del tema che state cercando, e ovviamente un esperto “umano”.
Ma, andiamo oltre a questo breve riassunto sul cosa sia ChatGPT, che comunque è diretto discendente delle analoghe piattaforme che, con la stessa logica, producono immagini (Dall-E fa parte della stessa entità che ha creato ChatGPT, denominata OpenAI, alla quale Microsoft sta trasferendo circa 30 miliardi di dollari per uno sviluppo che, grazie a questa iniezione economica stratosferica, crescerà alla velocità della luce; Midjourney e tante, tante altre). Quello che ci preme è parlare, come detto, di formazione e tornare all’articolo che parla della decisione del dipartimento di New York di “bannare” ChatGPT dalle strutture formative. La motivazione è chiara: quanto è facile, oggi, per uno studente, ottenere eccellenti punteggi “barando”, quindi usare ChatGPT per creare riassunti, temi, tesine, sintetizzare a punti il contenuto di un libro, eccetera? E come faranno i professori a distinguere il prodotto “originale” da quello dell’intelligenza artificiale? Sostanzialmente è impossibile, a meno di insospettirsi quando la qualità del prodotto consegnato è “fin troppo alto” rispetto al potenziale dello studente: ma davvero dobbiamo pensare che per essere “approvati” come studenti bisogna dimostrare di essere imprecisi, di commettere errori, di sbagliare qualche verbo (ChatGPT non sbaglia i verbi…)?
Lo stesso vale, ovviamente, per le immagini: quando qualche studente ci proporrà, per la valutazione ad un esame, delle immagini “troppo belle”, allora dovremo preoccuparci? Ma preoccuparci di cosa? Qui entra in gioco l’essenza della formazione: cosa dobbiamo insegnare e cosa dobbiamo pretendere dagli studenti? Che possano produrre qualcosa totalmente generato dalle loro “mani”? La qualità arriva dalla capacità di “esecuzione”? Non abbiamo sempre detto che quello che conta sono idee, capacità di guardare oltre, di spingerci al di là dei confini già raggiunti? Dobbiamo eliminare le calcolatrici dai tavoli per capire se siamo capaci di fare, ancora, 2+2?
In realtà sì, ovvio che dobbiamo insegnare anche cosa c’è dietro un calcolo matematico, almeno nella fase di partenza, se vogliamo che poi - quando si passerà su una calcolatrice, un computer, un foglio di calcolo - si possa comprendere cosa succede quando il calcolo viene automatizzato, ma poi gli automatismi ci servono per poter affrontare quesiti più impegnativi. E allora, a cosa serve eliminare strumenti che esistono, non ci sono dubbi che ci sono, e che sempre più prenderanno potere? A scuola, quando ero giovane, mille anni fa, si usavano i “bigini” che semplificavano il lavoro di riassumere una materia, in parte erano proibiti, ma questo non ha mai concretamente impedito a nessuno di usarli, e poi sono stati accettati, perché sono stati sviluppati approcci più ad ampio respiro e meno basati sul banale nozionismo. Capire, comprendere, applicare delle conoscenze non è più stato qualcosa da “imparare a memoria”, per fortuna.
Ci sembra di tornare al Medioevo, leggendo questa disposizione del dipartimento di New York, la nostra mente ha viaggiato subito verso la storia del libro, Il Nome della Rosa, dell’eccezionale Umberto Eco, dove succede questo (per coerenza, invece che scriverlo io, vi propongo la sintesi fatta da ChatGPT):
Nel libro "Il nome della rosa" di Umberto Eco, i preti vengono uccisi perché sono considerati una minaccia per il potere dell'abbazia e per la segretezza della biblioteca, che contiene molti libri considerati eretici o pericolosi dalla Chiesa. Uno dei preti, fra Guglielmo da Baskerville, viene coinvolto in un'indagine sulla morte di altri due preti e scopre che c'è una connessione con il contenuto di alcuni libri della biblioteca. Nel corso delle indagini, fra Guglielmo e il suo assistente Adso von Melk scoprono che i preti vengono uccisi da qualcuno che vuole proteggere i segreti della biblioteca e mantenere il potere dell'abbazia.
È questo quello che vogliamo? Vogliamo, nelle nostre scuole ed università, un approccio che tenta di nascondere l’ovvio, che cerca di proteggere il sapere, per poter mantenere un potere ed un controllo anche quando l’evidenza dei fatti ci porta altrove?
Non crediamo sia questa, la strada, al contrario: dovremmo introdurre nelle scuole gli strumenti di intelligenza artificiale per insegnare da subito come funzionano, come possiamo usarli al meglio, e poi creare percorsi di formazione che possano - sulla base degli strumenti che oggi esistono e che si evolveranno sempre di più - portare gli studenti a capire cosa devono invece sviluppare, far crescere nelle loro competenze, nel loro approccio, nel loro studio, per affrontare il loro futuro senza bende (fette di salame) davanti agli occhi. Qual è il lavoro (vero) che premierà un candidato che sarà capace di fare calcoli matematici complessi usando solo la matita e un foglio di carta al posto del computer? Sinceramente, nessuno, magari potrà dimostrare di avere capacità di analizzare un problema con grande semplicità ed efficacia, e questo però andrebbe convogliato su attività più preziose, nel caso, non certo per competere con un computer che, di sicuro, potrà svolgere quell’attività più rapidamente e con maggiore precisione. E allora, come possiamo sperare di poter generare nuovi professionisti utili nel mondo del lavoro, impedendo loro di usare gli strumenti di intelligenza artificiale, che userebbero comunque di nascosto, senza un orientamento corretto e costruttivo, e se continueremo a valutarli sulla base di qualcosa che metterà in evidenza competenze che, inevitabilmente, non saranno più le skills che permetteranno a questi ragazzi e ragazze di farsi strada nel mondo del lavoro?
Insomma, non è chiudendo e togliendo innovazione dalle scuole che si farà un lavoro corretto di formazione, al contrario. Ma ci si riuscirà cambiando metodi di formazione, di valutazione, di costruzione dei corsi, della definizione degli obiettivi. In pratica, è la scuola che deve cambiare ed evolversi, non bloccare l’innovazione solo perché non si ha la capacità di cambiare di fronte ad un mondo che è cambiato, e cambierà sempre di più, velocemente. Qui sotto, vi pubblichiamo un’immagine che indica l’evoluzione prevista per ChatGPT4, che si prevede possa uscire entro questo 2023. Guardate quanto crescerà e quanti soldi sono serviti e serviranno ancora, per i prossimi anni, ma come poi questa curva di costi crollerà perché si sarà raggiunto l’obiettivo previsto. Il grosso dell’investimento è già stato fatto, già stato pagato, ovvio che quindi l’adozione di questa tecnologia sarà naturale, verrà inserita sui tools di Microsoft che si usano per scrivere e creare contenuti (Word, eccetera), dentro Bing, motore di ricerca che finora faceva da Cenerentola rispetto allo strapotere di Google, e così via.
Lo stesso vale per le immagini. Midjourney ha lanciato la sua versione V4 poche settimane fa, ma si parla già di V5 in arrivo, e se il gap che si è visto (immenso) tra V3 e V4 sarà simile a quello che ci porterà dalla V4 alla V5 in proporzione, che fine faranno tutte le discussioni che vediamo sui social di chi dice che “no, non ci siamo ancora”? allora vedremo cosa succederà nel mondo dell’immagine.
Noi, dal lato nostro, ci siamo già interrogati su come iniziare a rivoluzionare la formazione proprio tra i giovani che studiano per essere i prossimi professionisti della comunicazione, e siamo super entusiasti di vedere come si potrà lavorare aprendo la mente e non certo chiudendo mente e connessioni al futuro. Ve lo racconteremo, presto!