Un ritorno verso le piazze dove si parla di fotografia vera?
Nel tentativo di combattere l'IO dei selfies, gli algoritmi e i trend imposti dai social più spietati, potrebbe essere utile guardare indietro a quando il mondo digitale era ancora ingenuo
In un momento in cui ci si interroga sul futuro della fotografia e sui suoi valori, arriva un compleanno importante: ieri (rispetto a chi scrive e pubblica) 10 febbraio del 2004 usciva la prima versione di Flickr, quello che è stato per molto tempo IL sito di sharing di fotografie più importante e grande al mondo.
Questa data ovviamente ha molto più rilevanza rispetto ad un altro festeggiamento ventennale, quello di Facebook, che di fatto è stata la piattaforma che ha smembrato nella pratica lo stesso Flickr, integrando la pubblicazione e la condivisione di fotografie in un contesto più ampio, al tempo stesso volgarizzando la stessa fotografia (eppure i fotografi non giovanissimi che questo fenomeno l’hanno vissuto e dovrebbero averlo subito, continuano a pubblicare foto e contenuti al suo interno), diventata sul social network per eccellenza semplice documentazione e non linguaggio creativo.
Parliamo di anni prima della nascita di Instagram (2010), anch’essa app nata inizialmente per essere casa della fotografia creativa e che poi, ancora una volta fagocitata - in questo caso anche in termini di acquisizione - da Facebook, è diventata in parte (gran parte) spazio per cercare semplicemente visibilità e non certo per parlare di fotografia (e poi, ormai su IG è più uno spazio per condividere video che non immagini statiche).
E non era, all’epoca, nemmeno ancora l’era dei selfies, che è esplosa come moda anche quella dopo il 2010, e consacrata nel 2013 come “Parola dell’anno” da parte dell’Oxford English Dictionary. Il passaggio dal parlare di fotografie ad un mostrare “chi fotografa”, con l’enfasi dell’egocentrismo più viscerale. L’obiettivo rivolto dalla parte sbagliata, il focus posizionato all’opposto, il messaggio ribaltato.
Non abbiamo mai amato molto Flickr, abbiamo preferito altro, nato prima e che ha seguito successi meno roboanti, Fotolog (nato nel 2002 e chiuso nel 2016) e DeviantArt (nato nel 2000 e ancora vivo, ma attaccato all’ossigeno), spazi dove il tema dell’incontro e della socializzazione aveva al centro la fotografia e l’immagine. Luoghi dove si imparava ad apprezzare, a diventare amici parlando di fotografia, di quello che si voleva raccontare. Non era il protagonismo dell’autore a voler guadagnare spazio, a sgomitare, a pretendere le luci puntate, tutt’altro. Anche se non il nostro prediletto, Flickr seguiva comunque lo stesso filone delle nostre piattaforme preferite, era più smart e più “furbo”; forse meno poetico e più democratico; a voler fare un paragone con il video, Flickr era lo “YouTube”, Fotolog era “Vimeo”.
Il sapore del festeggiamento dei venti anni di Flickr, pur distante, più anacronistico nell’era di TikTok, dei video virali e dei trend, è ancora però piacevole, sa di buono, ci riporta ad una dimensione dove la fotografia ha ancora un senso, e sebbene tutte le aziende del settore fotografico abbiano cercato di creare proprie piattaforme, la sola riduzione ad un unico riferimento di marca pone ostacoli al dialogo aperto, sono piattaforme aperte ma con muri che non possono e non si vogliono superare, creano un approccio da tifoseria che fa parlare del colore della maglietta che si indossa e non dell’amore della passione comune. Capiamo i motivi di marketing, ma capiamo anche che non sono piazze di dialogo aperto.
E allora, invece che cercare di inseguire nuovi castelli che si propongono di “inventare” piazze di incontro, che si chiamino Thread o Mastodon, BeReal o Bluesky, forse in questo periodo di revival si potrebbe cercare di ridare valore a quelle piazze che, pur ormai ridotte in numero di utenti e in gran parte non più parte di una routine, possono ritrovare forza, spazi e forse anche un senso. Del resto, Flickr è uno dei pochi luoghi rimasti del web a consentirci di fruire ancora i contenuti in ordine cronologico e non in una maniera dettata dai calcoli di un algoritmo.
Il digitale ha una storia, importante. Spesso si accusa questo universo (quello della “non fisicità”) di essere qualcosa che non è durevole, che sparisce, che viene sostituito. Ma forse siamo noi, esseri umani, che decidiamo quanto qualcosa deve vivere, quanto deve rimanere nella nostra mente e nel nostro cuore. Se siamo i primi, noi umani, a lasciare perdere il valore delle cose, non è certo una colpa delle cose, ma del nostro voler correre per inseguire interessi, nuove abitudini che possono darci qualcosa in cambio.
Abbiamo fatto un giro sulla “nostra” pagina Flickr, avventura iniziata con una prima pubblicazione nel 2004 e finita con l’ultima pubblicata nel 2014. Eppure, anche se è passato tanto tempo, le emozioni, i ricordi, sono ancora li, cristallizzati, protetti, lasciati ai posteri, di chi vorrà. Forse nessuno li vedrà, noi stessi non stiamo linkando quella pagina (ma si trova facilmente con il nome e cognome, nel caso qualcuno sia davvero interessato, in ogni caso non c’è nulla di speciale, a parte i ricordi che sono personali), ma il fatto che qualcuno potrebbe non “vederci mai” ha a che fare con quella solitudine che ci circonda malgrado viviamo tutti in un mondo che finge di essere costellato di milioni di amici, di conoscenti, di like e di commenti.
Ci è venuto in mente un bel libro, la solitudine dei numeri primi, di Paolo Giordano, dal quale recuperiamo una introduzione:
Nella serie infinita dei numeri naturali, esistono alcuni numeri speciali, i numeri primi, divisibili solo per se stessi e per uno. Se ne stanno come tutti gli altri schiacciati tra due numeri, ma hanno qualcosa di strano, si distinguono dagli altri e conservano un alone di seducente mistero che ha catturato l'interesse di generazioni di matematici. Fra questi, esistono poi dei numeri ancora più particolari e affascinanti, gli studiosi li hanno definiti "primi gemelli": sono due numeri primi separati da un unico numero. L'11 e il 13, il 17 e il 19, il 41 e il 43… A mano a mano che si va avanti questi numeri compaiono sempre con minore frequenza, ma, gli studiosi assicurano, anche quando ci si sta per arrendere, quando non si ha più voglia di contare, ecco che ci si imbatterà in altri due gemelli, stretti l'uno all'altro nella loro solitudine.
Ecco, forse invece che inseguire le masse, prive di forma, prive di personalità, la fotografia ha bisogno di individuare questi numeri primi, questi gemelli, con cui far rinascere la passione, gli argomenti di dialogo, i momenti di incontro. Non sappiamo se spazi come Flickr, ormai quasi abbandonati, ma anche alternativi, underground, quasi “indie”, potrebbero contribuire in questa ripartenza. Secondo noi, potrebbe essere possibile, attuabile, si potrebbe tentare, magari creando qualche iniziativa che possa ricreare aggregazione sincera e positiva.