Verità (ri)costruite
In un mondo dove si costruisce l’immagine più che documentare, la verità visiva diventa fluida. AI, percezione e manipolazione si intrecciano: cosa resta della realtà?
“Il vero è un momento del falso.” — Guy Debord*
Nell’epoca attuale, e non certo solo a causa o grazie all'AI (i social ci mettono del loro, la politica anche), la verità non è più solo qualcosa che si scopre, ma qualcosa che si costruisce. Per esempio, l’immagine non si limita a documentare, ma partecipa. La fotografia – e più in generale la rappresentazione visiva – non è più una traccia del reale, ma una sua riscrittura potenziale. La "verifica automatica della verità" è compromessa: tutto quello che finora veniva percepito come reale per il solo fatto che c'era una testimonianza visuale (lo scontrino di una spesa, un selfie in Piazza del Duomo per dire che siamo a Milano, la ricerca inversa di immagini, i plug-in di verifica dei fatti o anche i motori di ricerca sociali) può essere facilmente un inganno - non a causa di difetti nella sua progettazione, ma perché i falsi sono diventati troppo sofisticati. Questa incertezza sulla realtà la possiamo percepire con crescente chiarezza nel dibattito politico, nelle dinamiche culturali, nei flussi sociali, e ora anche negli strumenti creativi.
Il 2 aprile 2025, Donald Trump ha annunciato il “Liberation Day”, introducendo una nuova ondata di dazi doganali su beni provenienti da tutto il mondo. Una “Dichiarazione di Indipendenza economica” - così l’ha definita - con dazi compresi tra il 10% e il 50%. La narrazione è stata chiara (ma "chiaro" non significa "reale"): proteggere il lavoro americano, ridurre il deficit, rilanciare l’industria nazionale. Tuttavia, secondo una stima riportata dal New York Times e dal Guardian (ma anche dall'italiano ilPost), queste misure potrebbero portare a una contrazione del PIL statunitense del 2%, a un aumento della disoccupazione fino al 7,5% e a un incremento del costo della vita per le famiglie di circa 3.800 dollari all’anno, a causa dell’aumento dei prezzi delle importazioni.
Ecco il punto: oggi non serve più che qualcosa sia reale. Basta che sia verosimile. La verità visiva, l’impressione di autenticità, è sufficiente per costruire consenso. E quando la verosimiglianza si può fabbricare con un prompt, il potere di narrare il reale si sposta altrove.
Non è un caso isolato. In ambito filosofico e culturale, un esperimento simile ha preso forma attraverso il libro/progetto dal titolo Ipnocrazia. Pubblicato pochi mesi fa da “Jianwei Xun”, pensatore cinese misterioso, questo libro ha ricevuto attenzione mediatica, inviti a festival e perfino riconoscimenti dalla critica. Il suo stile: una sintesi lucida tra Byung-Chul Han, Debord e Foucault, calata nel contesto dell’era algoritmica. Solo dopo settimane si è scoperto che Xun non esisteva: era un’identità fittizia creata dal filosofo italiano Andrea Colamedici, in collaborazione con modelli linguistici come ChatGPT e Claude. Il progetto ha dimostrato quanto l’autorialità, oggi, sia sempre più un dispositivo fluido — e quanto l’autorità culturale possa essere costruita anche partendo da una bugia ben confezionata. Se ne parla qui, e se volete si può acquistare il libro su Amazon da qui.
Il cuore del libro — e dell’esperimento — ruota proprio attorno a questo: la verità come campo percettivo, non come fatto. Non importa se l’autore è reale, se i riferimenti sono concreti. Ciò che conta è che funzionino nella rete di senso in cui vengono collocati. E se questo vale per le parole, vale ancor più per le immagini. Noi abbiamo scaricato il libro sul nostro Kindle prima di scoprire il retroscena di questo progetto. Avremmo potuto "cascarci", anche se siamo parecchio esperti del campo? Sì, anche se avremmo di sicuro cercato online maggiori dettagli sull'autore, scoprendo magari che non esisteva uno storico, ma qualcuno avrebbe potuto scrivere una biografia su Wikipedia, ed ingannare anche la più autorevole enciclopedia online creando dei contenuti falsi su blog compiacenti (o disattenti) dedicati alla filosofia o alla letteratura. Sono tecniche che spesso abbiamo dimostrato e spiegato grazie al libro (questo sì, vero) intitolato Credimi, sono un bugiardo, scritto da Ryan Holiday che consigliamo sempre di leggere.
Parlando di argomenti più vicini a noi, OpenAI ha rilasciato l’integrazione della generazione di immagini direttamente in ChatGPT, grazie al modello GPT-4o, ne abbiamo parlato moltissimo. Con questo sistema è possibile creare e modificare immagini con un linguaggio naturale. L’editing diventa conversazione. La post-produzione, una semplice richiesta. Anche la manipolazione: per scherzo abbiamo creato un falso scontrino di McDonald's con prezzi folli, ma logo, indirizzo e tutto è corretto, anche la resa tipica di uno smartphone. A parte il prezzo, volutamente assurdo, tutto sarebbe credibile. Eppure non lo è: una fotografia non sarà più credibile, come fonte, come testimonianza, come prova.
Il fotografo, allora, che ruolo ha? È ancora un autore? O è diventato un direttore d’orchestra che impartisce istruzioni all’AI? La fotografia, una volta legata a tutto questo, si potrebbe dover svincolare dall’istante per entrare nella sfera della narrazione. Non serve contrastare a parole, e nemmeno fare ostruzionismo, ma serve individuare un ruolo nuovo: quello che discutiamo sempre, all'interno del nostro progetto Aiway Magazine e Aiway Lab.
Per esempio, venerdi 11 aprile, in diretta su AIway LAB proporremo una serata speciale per parlare della rivoluzione di Midjourney V7, appena rilasciato in alpha. Cosa cambia davvero? Beh, per esempio possiamo "dire" cosa vogliamo, a voce, e il sistema alla velocità della luce ci ascolterà - anche in italiano - e risponderà modificando e migliorando via via le immagini che sta generando su nostre indicazioni. Come si evolverà lo stile visivo? E soprattutto: che tipo di verità visiva stiamo costruendo insieme alle macchine?
Iscriviti alla live qui (se sei abbonato ad Aiway LAB è GRATIS) → Link
* La citazione "Nel mondo realmente rovesciato, il vero è un momento del falso" proviene dal libro La società dello spettacolo di Guy Debord, pubblicato nel 1967. Si tratta della tesi numero 9, in cui Debord analizza come, nella società moderna, la realtà sia stata sostituita da rappresentazioni distorte che servono gli interessi del sistema dominante. Questa affermazione è una reinterpretazione critica di una celebre frase di Hegel, evidenziando come, nel contesto di una società capovolta, la verità stessa venga assimilata e manipolata all'interno di una struttura di falsità.
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