Storytelling: il futuro della narrazione porta a vivere le storie "da dentro"
Durante l'ultima edizione di Sanremo abbiamo visto raccontare spesso lo spettacolo anche dal punto di vista di chi lo presentava, proponendo una narrazione che anticipa molti fenomeni interessanti.
Immagine generata con Midjourney x SundayJumper
Si è conclusa la settimana del Festival di Sanremo (finalmente…). Non sappiamo quanti di voi hanno fatto parte di quei quasi 13 milioni che erano davanti al televisore durante la finale di ieri notte, ma anche chi di voi era impegnato in altre attività, probabilmente più salubri, avrà avuto modo di vivere almeno degli spezzoni su Instagram, su TikTok, su Facebook, su YouTube o “anche” su giornali e siti online. La caratteristica sulla quale riflettere quest’anno, però, non è stato lo spettacolo in sé, in televisione, e nemmeno l’eco stampa e social che ovviamente è un fatto comune da sempre. La differenza è che - quasi per gioco, ma si tratta di un gioco che è stato studiato nei minimi particolari a tavolino - si è trattato del primo Sanremo che è stato vissuto realmente in diretta “dentro” il mondo digitale, in contemporanea con la trasmissione televisiva e gli eventi dell’Ariston, e questo contenuto non era creato dagli spettatori, ma dai protagonisti stessi.
Un po’ giocando, appunto, ma è apparso evidente che il modo per raccontare in certi momenti l’evento è stato quello di spostare l’attenzione dai presentatori e dalle persone inquadrate dalle telecamere ufficiali, per spostarsi invece verso quelle degli smartphone, per realizzare “dirette” sui social. L’occhio ufficiale - quello della trasmissione, quello della RAI - che era lì per osservare e documentare, di colpo è diventato banale backstage, mentre lo stage principale era quello che viaggiava attraverso quel mondo che, una volta, veniva chiamato “virtuale”.
Non è stato tutto così il Festival, ovviamente, ma si trattava delle prove generali di qualcosa che potrà solo crescere, diventare normalità nel prossimo futuro. Non sappiamo se questo è stato effettivamente analizzato dagli autori e dalla produzione, ma chissà se qualche pensiero dopo è stato fatto, pensando che la pagina di Instagram creata “a sorpresa” da Chiara Ferragni dedicata ad Amadeus in 4 giorni ha ottenuto un pubblico superiore al 10% totale di quello che ha ottenuto il Festival con tutta la sua macchina da guerra di comunicazione e 73 anni di storia. Il potenziale anche di trasformarsi in “concorrente” è davvero da valutare, anche per i giganti.
Non vi raccontiamo però tutto questo per arrivare ad una conclusione banale: i social sono importanti, il digitale è la strada del futuro, e così via. Non serve certo l’edizione 2023 del Festival di Sanremo per comprendere questo fenomeno, che vive da fin troppi anni nella nostra vita. Il punto non sono i social, il punto non solo i vari canali dove si riversa l’attenzione delle persone e che diventano quelli primari per attrarre il pubblico: il punto è che sembra che si stia mettendo da parte il narratore delle storie, per lasciare spazio alla modalità POV - Point of View. Non più qualcuno che da fuori osserva e racconta, descrive, esplora, ma la storia è raccontata da chi la vive, la scena è quella che viene vista dagli occhi dei protagonisti.
Di colpo, ci sono ruoli che spariscono: l’autore, lo sceneggiatore, il regista, il cameraman, il fotografo e il percorso narrativo porta al centro il fruitore di quella storia dentro la scena, che può immergersi, quasi vivendo sulla propria pelle, e addirittura vestire i panni del protagonista perché la grande caratteristica degli strumenti che si usano per queste riprese, gli smartphone, hanno il potere di riprendere sia quello che sta “davanti” e sia quello quello che sta “attorno”. In teoria, va fatta una scelta alla volta: fotocamera/videocamera anteriore o posteriore. Ma - probabilmente lo sanno in tanti, ma forse non tutti, di sicuro non Amadeus, e forse neanche “l’esperta dei social” Chiara Ferragni - esistono delle app che consentono la ripresa in contemporanea, per esempio DoubleTake, e quindi è possibile avere una ripresa contemporanea in video di due scene e una delle opzioni possibili è proprio quella di usare contemporaneamente sia la fotocamera frontale (quello che vede chi riprende), sia quella posteriore (chi riprende). È una soluzione che ha sposato anche, sebbene in modo diverso, una delle app di maggiore successo specialmente tra i giovani, BeReal che richiede di scattare entro due minuti un’immagine non programmata (la notifica arriva in un orario random) che “racconta” un momento di “vera vita” riprendendo sia il selfie, sia la scena che sta attorno a quella situazione, di fatto uno scatto contemporaneo con le due fotocamere. Lo stesso, o qualcosa di simile, volendo, potrebbe essere realizzato con sistemi di ripresa a 360 gradi, che permettono all’utente di spostarsi attorno all’ambiente ripreso, che solo in rari casi sono stati adottati con intelligenza narrativa per andare oltre all’effetto speciale, oppure i droni FPV di cui abbiamo parlato in questo SundayJumper [LINK], qualche mese fa. O, ancora, andando sul campo dello sport, è stato dichiarato che nel 2023 la Formula 1 consentirà di visualizzare la scena di tutti i piloti che sono in gara da dentro l’abitacolo (prima era posizionata al di sopra, quindi meno avvincente), tra l’altro usando per queste che sono definite Hemlet Cam, una tecnologia italiana (LINK), se qualcuno vuole vedere l’effetto può farlo da questo video di una delle sperimentazioni di questa soluzione effettuate lo scorso anno, a Montecarlo: la scena è quella degli occhi di Charles Leclerc su Ferrari [LINK].
Il potenziale narrativo che si può esprimere in questo caso però non va interpretato, banalmente, dal punto di vista puramente tecnico, e ancor meno si può pensare che il desiderio di “partecipazione” da parte dei fruitori possa essere forte per il solo fatto che si cambia punto di vista. Se non è entusiasmante, eccitante, desiderabile essere “in quella scena”, non sarà app o POV che toglierà l’indifferenza del pubblico. Perché a Sanremo, invece, la scelta ha funzionato? Lo spiega, ed è molto interessante, l’antropologo Piero Vereni che in un video che vi consigliamo [LINK], parla di un fenomeno che si chiama “effervescenza collettiva”, che in termini di massa può creare un senso di appartenenza, che consente di raggiungere una densità dei significati se la si vive dall’interno, e collega questo concetto ad eventi come appunto Sanremo oppure la finale del SuperBowl, che si giocherà proprio questa notte, tra il 12 e il 13 febbraio (dalle 00.30, in Italia, trasmessa in diretta da DAZN) allo State Farm Stadium di Glendale, in Arizona. E poi, per avvalorare questa visione, Vereni cita gli studi di Marcel Mauss che la spiega ancora meglio.
È chiaro che fenomeni che interessano così tanti milioni di persone non possono essere replicati nella “vita vera” di tutti noi, chiamati magari a raccontare delle storie che forse interessano meno persone, addirittura poche decine o anche singoli… ma il concetto rimane e pensiamo debba essere esplorato: cominciamo a pensare che ci possono essere percorsi per raccontare una storia dall’interno, pensando sia a come farlo in termini pratici e tecnici, ma specialmente per creare un coinvolgimento più emozionante, più forte. Anche perché tutto questo ci porta a costruire le basi del futuro dell’interazione, dei media, dello spettacolo. Quel mondo che apre le porte ad una eliminazione tra qui e lì, tra dentro e fuori, tra reale e virtuale. È una sfida che non ha nella tecnologia la sua strada, ma nella capacità di individuare il proprio ruolo di narratori, di professionisti che devono catturare scene e poi costruire delle storie emozionanti.
Dove saremo, in futuro: fuori, accanto, dentro la scena? Crediamo che sia un buon interrogativo sul quale proporvi di riflettere ;-) Per fortuna che è domenica e quindi magari avete qualche minuto in più di calma per pensarci!
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