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Il ritorno del quadrato non è purtroppo un ritorno della scelta.
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Il ritorno del quadrato non è purtroppo un ritorno della scelta.

Dall’Hasselblad all'iPhone 17: il quadrato ritorna, però ogggi non come scelta estetica ma come base algoritmica. Saremo ancora noi a decidere o lasceremo che lo facciano le macchine?

Il formato quadrato ha qualcosa di particolare nella storia della fotografia. Non è solo una scelta compositiva: ha influenzato il modo stesso di costruire le immagini. Il quadrato, a differenza del rettangolo, non ha una direzione implicita. Non ti dice dove guardare, non suggerisce un movimento. Ti chiede semplicemente di stare lì, davanti all’immagine.

Questa forma porta con sé un doppio peso: uno tecnico e uno simbolico.

All’inizio del Novecento la fotografia e l’industria della pellicola si sviluppano in parallelo, ma senza coordinarsi davvero. Ogni sistema fotografico aveva i suoi formati, i suoi rulli. Kodak aveva introdotto la pellicola formato 120 già nel 1901, pensata per un pubblico di amatori e solo poi, col tempo, è diventata lo standard del medio formato. Nel 1929 la Rolleiflex ha scelto questo formato di pellicola per costruirci attorno la sua biottica 6×6: il quadrato è nato quindi da un incontro fortuito tra un formato disponibile e una soluzione progettuale efficiente. E non è stata l’unica situazione di questo tipo.

Nel piccolo formato succede infatti qualcosa di simile. Oskar Barnack, progettista della Leica, negli anni ‘20 decide di usare la pellicola 35mm a doppia perforazione, nata per il cinema per creare la sua fotocamera compatta e portatile. La pellicola non era pensata per questo scopo, ma è la genialità di Barnack che l’ha adottata e da questa scelta nasce lo standard che poi sarà portato al successo da Contax, Kodak, e solo dopo dalle giapponesi Canon, Nikon, Minolta e Olympus, e tanti altri.

Nel medio formato, l’operazione equivalente è il 6×6. Negli anni ‘50 Hasselblad lo porta nel suo leggendario sistema modulare. Il quadrato smette di essere un compromesso e diventa una scelta consapevole e di moda. Anche in questo caso, come per la Rolleiflex, per ragioni tecniche: semplifica la struttura della macchina nata con il mirino a pozzetto (poi diventato reflex come accessorio), il formato “neutro” quadrato non richiedeva rotazione del corpo macchina, sfruttava al massimo il cerchio d’immagine della proiezione dell’obiettivo. Rolleiflex prima e Hasselblad poi lo hanno adottato perché funzionava, per coerenza e comodità.

Da questa funzionalità è però nata anche la sua forza visiva.

Il formato quadrato ha codificato una grammatica di centralità e simmetria che ha segnato alcuni degli sguardi più importanti del Novecento. Diane Arbus, Irving Penn, Vivian Maier, Richard Avedon, Michael Kenna: hanno trasformato il quadrato “imposto/proposto” dalle loro fotocamere in linguaggio. Ne hanno esplorato l’autorità, l’equilibrio, la frontalità. In molti casi è stato il formato stesso a dettare la grammatica: il soggetto al centro, il contesto ridotto, la forma che arrivava prima (o accanto) alla narrazione.

La forza del quadrato sta in questa ambiguità: è neutro, ma impone qualcosa. Può contenere tutto, però non suggerisce nulla. Dove il rettangolo decide (orizzontale per il paesaggio, verticale per il ritratto), il quadrato aspetta. Rende ogni gesto, ogni oggetto, ogni volto più astratto.

Questa neutralità non era apprezzata solo dai fotografi. Piaceva anche agli art director e ai grafici editoriali. Il formato quadrato, grazie alla sua simmetria, permetteva in fase di impaginazione una libertà compositiva piena, totale. Si poteva decidere dopo lo scatto se tagliare in verticale, in orizzontale o lasciare intatto il quadrato, adattando la foto allo spazio della pagina o della copertina.

E poi è arrivato Instagram. Lanciato nel 2010, ha preso il quadrato e lo ha trasformato in icona pop. Un formato nato per la fotografia meditata è diventato il contenitore del consumo visivo veloce. Nei primi anni il quadrato era obbligatorio: ogni immagine veniva forzata in un 1:1 che richiamava l’estetica delle Hasselblad e delle Rolleiflex. Ma poi è arrivato il cambiamento, e anche la volgarizzazione. Prima con la possibilità di caricare foto rettangolari (mantenendo però un frame quadrato nella griglia), poi, più di recente, con l’adozione del formato verticale 4:5 come standard privilegiato per il feed — una scelta che ha scompigliato l’ordine geometrico delle bacheche e costretto fotografi, brand e creativi a ripensare ogni strategia compositiva. Ha vinto un altro formato, quello dello smartphone, diventato la “finestra” esclusiva di tutto (o quasi) il mondo.

Oggi, però, il formato quadrato torna, inatteso. Non nelle reflex o mirrorless digitali, sempre più marginali nella globalità della produzione fotografica, e neanche nel medio formato che — pur avendo reso celebre il 6×6 — oggi adotta ormai quasi solo sensori rettangolari, con rapporti di circa 4:3 (Hasselblad, Fujifilm GFX, Phase One). La forma quadrata ha perso la sua centralità anche lì, dove un tempo era scelta culturale e tecnica dominante. Anche se nel tempo il medio formato ha offerto varianti come il 4,5×6, 6×7 o 6×9 cm, tutte basate sulla pellicola 120 (e poi 220), che offriva 6 cm verticali e modulava il numero di pose in base al lato orizzontale: 12 pose in 6×6, 15-16 in 4,5×6, 10 in 6×7, 8 in 6×9 — raddoppiate con la 220.

Il quadrato torna invece oggi nella selfie-camera degli iPhone 17, chiamata “Center Stage”. Ma qui non è più un formato da scegliere, è un formato da cui partire. Il sensore — da 18 o 24 megapixel, a seconda del modello — non serve per creare immagini quadrate. Serve per offrire una superficie uniforme e simmetrica da cui il sistema può ritagliare in tempo reale l’inquadratura più adatta alla scena, al soggetto, al movimento del dispositivo.

Questo permette al sistema di adattare dinamicamente il frame in base al soggetto, all’orientamento e alla situazione di ripresa. Il formato quadrato garantisce che qualsiasi ritaglio — verticale, orizzontale o intermedio — mantenga la massima risoluzione possibile, senza perdita di qualità.

In termini fotografici è l’equivalente di un oversampling continuo: si cattura più di quanto serva per poter poi scegliere, o lasciare scegliere all’algoritmo, il risultato più efficace. Una flessibilità resa possibile dalla geometria, dalla potenza del chip A19 (serve tanta potenza per farlo), dall’elaborazione rapida delle immagini e da software in grado di riconoscere volti, gesti e profondità in tempo reale.

Il quadrato torna quindi come superficie di base per il calcolo. Una matrice neutra di pixel che permette al software di ritagliare in tempo reale l’inquadratura più efficace — verticale, orizzontale, o qualunque forma serva in quel momento. Non è una scelta estetica, né un formato finale: è una interessante base tecnica, pensata per garantire flessibilità, stabilizzazione e adattabilità, anche in situazioni dinamiche come una videochiamata o un autoscatto in movimento.

Ma a questo punto riaffiora una tensione. Quella geometria che un tempo invitava alla centralità e alla riflessione visiva, oggi serve solo a facilitare decisioni automatiche. Nei selfie contemporanei il formato quadrato non è più ciò che vediamo, ma ciò che viene usato per farci vedere meglio — o meglio, per farci vedere ciò che l’algoritmo ritiene più adatto.

Nella fotografia analogica quella “scelta/non scelta” del quadrato lasciava spazio all’autore, all’immaginazione, alla possibilità di decidere dopo. Oggi è uno strumento invisibile, che lavora per ottimizzare risultati precalcolati. Non ciò che vogliamo mostrare, ma ciò che funziona meglio.

E allora forse è il momento di chiedersi se, anche nell’era dell’efficienza visiva, esista ancora margine per scegliere davvero. Perché ogni forma porta con sé una visione, e ogni scelta — anche quella tecnica — dice qualcosa di noi. Il ritorno del quadrato sarebbe stato più interessante non solo come un fatto di geometria, ma come una occasione di responsabilità: quella di decidere, ancora, che forma dare al nostro sguardo.

Speriamo che questa ricostruzione possa servire ai giovani, che questo pezzo di storia (e di scelta) non l’hanno mai vissuta, e per chi, meno giovane, può riprendere qualche stimolo. Per entrambi, per trovare forza e desiderio di “scegliere”, sempre più ogni dettaglio di quello che si vuole mostrare e raccontare.


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